domenica 28 aprile 2013

Grillo il nuovo Mussolini? Il problema è estetico

da 'Il Giornale'

Questa storia di Grillo “nuovo Mussolini” va avanti da anni e comincia ad essere insopportabile. Ci può stare se a raccontarla è la solita poltiglia intellettuale che guarda l’Italia dal buco della serratura dei salottini radical-chic; ma quando a farlo sono un giornale prestigioso come l’inglese The Spectator, che annuncia l’arrivo del “new fascist future”, e un pensatore intelligente come Giampaolo Pansa, allora la cosa va chiarita una volta per tutte; anche perché il problema del grillismo non è politico, ma estetico.
E anche a costo di beccarsi facili accuse di apologia e nostalgismo, una cosa va detta: Grillo non sarà mai Mussolini per ragioni estetiche.
Per esempio: c’è qualcuno che ha il coraggio di paragonare il ditino moralista, gli occhietti socchiusi, la vocina gracchiante di Grillo, ai pugni sui fianchi, lo sguardo allucinato e la voce roboante dell’uomo della Provvidenza? E c’è qualche stilista che potrebbe preferire la polo sgualcita che malcela l’indole borghese, con la virilità della camicia nera che anticipava di settant’anni lo stile Armani? E poi, si possono paragonare le piazze riempite dai volti livorosi e arcigni degli sbandieratori del Che con le adunate gloriose piene di tricolori e di moschetti? Lo stesso senso della presenza tradisce un’estetica diversa: la folla che seguiva il Duce s’inebriava nel sogno della grandezza d’Italia. La folla che segue Grillo al massimo sogna il reddito di cittadinanza. Particolare di non poco conto, perché ha un valore estetico anche la massa: e dietro la pelata del Duce c’era una generazione ardita e legionaria plasmata nelle trincee della Grande Guerra; invece, spostando la chioma di Grillo, s’incontra una generazione stanca e annoiata cresciuta su Facebook e che sa a malapena che la bandiera italiana ha tre colori.
E poi l’estetica dell’antipolitica, l’arte di una retorica trasformata in misera battuta. Dietro il giovane Mussolini c’erano il sindacalismo rivoluzionario, il movimentismo, un cerchio di fuoco tra Sorel e Alceste De Ambris. Qui c’è il cabaret di Drive In e un po’ di sano complottismo caricaturale.
E ancora, l’estetica del pensiero: prima di Giovanni Gentile c’erano D’Annunzio, Pirandello, Marinetti e l’energia futurista, c’era Berto Ricci. Dietro Grillo ci sono Sabina Guzzanti, un po’ di Travaglio (neanche tutto), molto Dario Fo e una spruzzatina di Gabanelli.
Se si toglie alla politica l’estetica, la si priva di quella capacità di attrarre, affascinare, conquistare, che è il fondamento di ogni movimento di trasformazione sociale. Per questo Monti e i tecnici hanno fallito, non solo per l’incapacità di governare la complessità della crisi senza una visione d’insieme; ma perché erano brutti, grigi, noiosi, anonimi e la loro immagine rifiutava qualsiasi valore estetico e gettava la politica nell’opacità di una tecnocrazia senz’anima.
La politica ha un suo valore simbolico e immaginifico che trascende le questioni analitiche; ed è questo valore a fissarsi nel nostro inconscio. Lo ha spiegato un grande psicologo come James Hillman: “la risposta estetica conduce all'azione politica, diventa azione politica, è azione politica”. E su questo non c’è partita: Grillo sta a Mussolini come la foto di Obama che mangia un panino da Mc Donald sta al Napoleone sul cavallo rampante dipinto da Jacques-Louis David.