domenica 23 novembre 2014

L’intervista. Alain de Benoist: “La patria del mercante? Quella in cui fa profitto”.

Nicolas Gauthier (traduzione di Manlio Triggiani)

Prima c’era l’infernale tandem liberal-libertario incarnato da Daniel Cohn-Bendit (politico tedesco attivo anche in Francia, nei Verdi, ndt) e Alain Madelin (uomo politico, ex ministro, oggi nell’Ump, ndt). Oggi c’è quello formato da Najat Vallaud-Belkacem (ministro dell’Educazione nazionale, ndt) e Emmanuel Macron (ministro dell’Economia, ndt), con la particolarità di appartenere l’uno e l’altro allo stesso governo. Alleanza contro natura?



“Alleanza perfettamente naturale, al contrario, poiché il liberalismo sociale e quello economico derivano entrambi dalla stessa concezione di un ‘uomo economico’ fondamentalmente egoista il cui unico scopo è massimizzare razionalmente i propri utili, vale a dire il proprio migliore interesse. Ciò che si chiama l’assiomatica dell’interesse altro non è che la traduzione in termini filosofici di questa disposizione naturale dell’essere umano all’egoismo. Il liberalismo pone l’individuo e la sua libertà ritenuta “naturale”, come le sole istanze normative della vita in società, vale a dire che fa dell’individuo l’unica e sola fonte di valori e obiettivi che si è scelto. La libertà liberale presuppone che le persone possono mettere da parte le loro origini, il loro ambiente, il contesto nel quale vivono e dove esercitano le loro scelte, vale a dire tutto ciò per cui sono tali, e non altro. La vita sociale, quindi, non è più che una questione di decisioni individuali, di negoziazioni procedurali, e di scelte interessate. Storicamente parlando, il liberalismo economico certamente il più delle volte si è espresso a ‘destra’, mentre il liberalismo sociale si è situato a ‘sinistra’. E’ ciò che ha permesso a una certa sinistra di presentare il capitalismo come un sistema autoritario e patriarcale, mentre è tutto il contrario. Marx vedeva giusto quando notava la natura intrinsecamente rivoluzionaria dell’illimitatezza capitalistica, che equivale a negare ogni valore tranne quello mercantile nell”nell’acqua gelida del calcolo egoistico’. Così si spiega la vicinanza fra queste due forme di liberalismo. Per espandere il mercato, il liberalismo economico non può che distruggere tutte le forme tradizionali di esistenza, a partire dalla famiglia (che è una delle ultime isole di resistenza al regno del solo valore di mercato); viceversa, coloro che, fra gli eredi del Maggio ’68, volevano ‘proibire di proibire’ e ‘godere senza ostacoli’ (due slogan tipicamente liberali) hanno finito per capire che è il capitalismo liberale che poteva soddisfare meglio le loro aspirazioni’.


Da tempo si sa che se la sinistra ha tradito il popolo la destra ha fatto lo stesso con la nazione. Per conciliare le due cose nel culto del mercato. Qual è la realtà dietro questo risultato?


“La nazione acquisì un senso politico al tempo della Rivoluzione. Vale a dire che è nata a ‘sinistra’, prima di passare ‘a destra’. Uno dei tratti maggiori dell’attuale panorama politico è un divario che continua ad ampliarsi tra la sinistra e il popolo. La ragione principale è che la ‘sinistra’, che s’era avvicinata al movimento socialista e operaio nel periodo dell’affare Dreyfus, si è ora unita alla società mercantile, ravvivando allo stesso tempo le sue origini liberali (ideologia del progresso, religione dei diritti umani e la filosofia dei Lumi). Come fatto notare Jean-Claude Michéa, non sarebbe mai venuto in mente a Proudhon o a Sorel, e ancor meno a Karl Marx, di definirsi come ‘uomini di sinistra’!”

Anche il lavoro è diventato un mercato poiché si ragiona ormai in termini di “mercato del lavoro”. Ma questo “mercato” funziona così bene come sostengono i suoi promotori instancabili?

 
“Secondo la vulgata liberale, il mercato è il luogo reale dove si scambiano le merci e l’entità virtuale dove si formano in maniera ottimale le condizioni di scambio, vale a dire l’adeguamento della domanda e dell’offerta e il livello dei prezzi. E’ quindi considerato autoregolatore e autoregolato, cioè funziona tanto meglio in quanto non vi è alcun ostacolo al suo funzionamento ‘spontaneo’, il che implica che nulla ostacoli la libera circolazione di persone e merci, e che le frontiere siano considerate inesistenti. Adam Smith spiega molto bene quando scrive che il mercante non ha altra patria che quella in cui fa il miglior profitto. L’idea generale, sullo sfondo, è che lo scambio mercantile è la forma ‘naturale’ dello scambio. Sorprendetevi, ecco perché il padronato vuole sempre più immigrazione! Besancenot-Laurence Parisot, stessa battaglia! La forma di scambio propria delle società tradizionali non è in realtà baratto (che non è presente ovunque), ma la logica del dono e del controdono. Lungi dall’essere ‘spontaneo’ nel senso moderno del termine, il mercato è stato istituito dallo Stato, come l’ha ben dimostrato Karl Polanyi in La grande trasformazione. L’idea di una concorrenza ‘pura e perfetta’, infine, è una visione di fantasia: gli scambi commerciali non possono risparmiarsi di prendere in considerazione i fenomeni del potere presenti in ogni società umana. Il liberalismo si conclude dal momento in cui, di fronte alla teoria liberale di un”armonia naturale degli interessi’, si riconosce l’esistenza di un bene comune che ha la precedenza sugli interessi particolari”.