(di Sara Reginella –
da “L’intellettuale dissidente”)
Il rischio che nel sistema sociale occidentale le persone
stiano perdendo sempre più la capacità di critica, di ragionamento sistemico
volto alla riflessione sul complesso, in nome di una semplificazione e
banalizzazione della realtà, è allarmante. Come psicoterapeuta, il mio
compito è quello di supportare le persone nella propria capacità di sentire e
di pensare, guidandole nella definizione delle proprie idee, dei propri valori,
all’interno di un processo di ricerca attivo.
Quando ciò non
avviene e la sfera emotiva è separata dalla sfera cognitiva, l’individuo entra
in uno stato di crisi caratterizzato da una carenza di consapevolezza del sé e,
in alcuni casi, del reale. Ciò, oltre ad osservarsi nella psicopatologia
individuale, familiare e nelle relazioni tra gruppi, si osserva anche a livello
sociale. Molti dei mass media occidentali infatti non sostengono lo
sviluppo della capacità critica nell’individuo, presentando perlopiù un solo
punto di vista omologato, auto referenziale, conforme all’opinione della
maggioranza e funzionale al potere. Ed è questa stessa autoreferenzialità
che ha fatto sì che in Europa, un conflitto terribile come quello che si
consuma nel Donbass, fosse messo da parte e narrato con parzialità,
rappresentato ad una sola voce.
Secondo l’approccio psicologico sistemico – relazionale,
la rappresentazione di più punti di vista, spesso interconnessi tra loro, è una
delle vie utilizzate per raggiungere la comprensione di una realtà che appare
scissa, una realtà in cui posizioni contrapposte si scontrano senza possibilità
di soluzione. A partire da questo presupposto, negli scorsi mesi è stato
girato il video “I’m Italian, Donbass”, al fine di fornire un piccolo
contributo contro forme di scissione e spaccatura sul piano sociale, e al fine
di offrire uno stimolo allo sviluppo di un maggiore senso critico, che tenga
conto, nel processo di ricerca della verità, di più punti di vista. Nella
fattispecie, mi riferisco alla spaccatura osservabile attualmente nelle
relazioni tra Russia e Occidente. Nel video, il tema del “Doppelgänger ”,
la doppia voce, il doppio personaggio, è metafora di rottura tra un punto di
vista ed un altro rigidamente contrapposto. Quando entrambe le voci
saranno ascoltate, sarà possibile iniziare un processo di ricerca della verità
ed un’eventuale integrazione tra i due punti di vista.
Ed è proprio alla ricerca di questa verità, per ascoltare
la voce della popolazione, perlopiù ignorata in Occidente, che mi sono recata
nel Donbass. Una società come la nostra, che ignora, è una società
facilmente manovrabile. Una società ignorante non conosce i propri diritti,
segue il “glamour” conformista ed è pronta a battersi soltanto per il rispetto
di valori suggeriti (o imposti?) dall’alto e funzionali all’élite. Seppur
sia difficile giudicare un conflitto in corso, contro questo “ignorare” che
dilaga e contro la demonizzazione di un popolo, riporto la testimonianza di un
uomo, intervistato durante il mio viaggio appena conclusosi, che ha scelto di
entrare a far parte della difesa del Donbass. Vladimir, prima dello
scoppio del conflitto, lavorava come programmatore informatico. Ho chiesto a
lui di motivare la sua decisione di arruolarsi nell’esercito della Novorossia.
Mi risponde di aver preso tale decisione dopo quanto accaduto il 2 maggio a
Odessa. «In Occidente raccontano che voi siete terroristi e che colpite
case, scuole, ospedali e fabbriche. Cosa ne pensa?» gli domando. «Noi non
possiamo sparare contro le nostre città, qui vivono le nostre famiglie, i
nostri padri, le nostre madri, le nostre mogli, i nostri bambini. Vi risulta
che noi distruggiamo le nostre case? Questa è una sciocchezza». «Quindi siete
persone “normali”?» incalzo. «Noi difendiamo le nostre città» conclude.
Si può scegliere di non prestare attenzione alle sue parole.
Ma esse sono importanti perché non sono state rappresentate in Europa e perché
ci indicano che in ogni conflitto, ogni parte coinvolta ha le proprie ragioni.
E soltanto quando le ragioni di entrambe le parti saranno conosciute, sarà
possibile iniziare a pensare ad un processo di ricerca della verità e di
risoluzione. Se al contrario, la seconda voce non sarà ascoltata, saremo
di fronte alla sola prevaricazione di una parte sull’altra. Dipingere
l’altro esclusivamente come un nemico, contribuisce a fomentare il conflitto e
quindi la guerra. Suggerire una visione maggiormente complessa, al fine di
comprendere, piuttosto che reagire sulla base di un’emotività sollecitata anche
mediaticamente, è la strada che può aiutarci ad uscire dalla perversione connessa
all’esclusiva denigrazione di quello che è ritenuto un nemico. Comprendere
è fondamentale, per uscire dalla spirale che alimenta il conflitto stesso.