mercoledì 13 gennaio 2016

"Nutrire il coraggio" di Giovanni Lindo Ferretti

di Giovanni Lindo Ferretti

Le parole meritano rispetto, esigono considerazione, sono esposte a verifica; devono trovare riscontro nelle azioni: nel fare, nel già fatto.
È un racconto di montagne, le montagne di sempre “nella tempra indipendente dei nostri antichi montanari ai quali mai li è possuto comandar perché dicono loro essere liberi”. Le montagne di oggi, tra frane e viadotti, dove tutto sta chiudendo: l’ultimo bar, l’ultima bottega, l’ultima azienda agricola ed erano presidi di una civiltà, di una cultura materiale, ridotte a studio di settore e condannate a morire.
Essere sradicati per sradicare: lo richiede l’economia, l’impone la politica; la finanza, ben salda al comando, ara semina e raccoglie in tabula rasa e delle radici fa cimeli di antiquariato. Una coltre di pesantezza grava sulle cose e sui giorni. Certo le circostanze non sono favorevoli, e quando mai?


Mai stata facile la vita sul crinale, nelle alte valli, mai garantita ma generazioni su generazioni non l’avrebbero scambiata con altro, in altro luogo; l’hanno difesa e rivendicata per composizione di segmenti impalpabili ma ineludibili dove un paesaggio trova corrispondenza nell’intimità.
Si può anche fallire, perdere la propria battaglia, ma tutte le azioni che trovano origine in coloro che ci hanno preceduto, conforto nel paesaggio, forza nella lingua, linfa nel mito e sostentamento nel rito che lo celebra, si collocano nel regno della Provvidenza che contiene, etimologicamente, tanto la previdenza che la prudenza e non può non considerare il tempo dell’audacia perché nutre il coraggio e rifugge lo svilimento.
È un racconto di cavalli “la più nobile conquista, base materiale della civiltà. Vanificandone pregi e utilità il mondo industriale gli ha reso onore nominando cavallo/vapore l’unità di misura della sua potenza: potenza meccanica. Cavalli di sempre che intrecciano il loro destino al destino dell’uomo e cavalli di oggi, un tempo in cui allevare, addestrare, è un gesto eroico, un gesto artistico, è una disciplina umanistica”.
Tra i cavalli il posto d’onore spetta al maremmano, il cavallo della nostra tradizione. “Fiorente con gli Etruschi servì Roma dalla fondazione alla decadenza , l’intera sequenza della condizione umana fino alla nazione italiana che l’ha arruolato, smobilitato, disprezzato, consegnato all’oblio”. Cavalli da lavoro, da guerra, da macello, cavalli in via d’estinzione. Uno specchio in cui rimirarci: ben triste visione ma librano nell’aria frammenti di vertigine e, lontano, l’eco di un canto. Un canto sempre cantato.
È un racconto, siamo alla fine del prologo. Tutto è in atto: una stalla e un’ arena, tra una frana e un viadotto, come dimora da cui partire e a cui tornare; i protagonisti si preparano a calcare la scena: SAGA IV il canto dei monti. Sarà il teatro barbarico a tessere la trama, a scandire la suddivisione in capitoli del racconto. Un racconto in divenire di cui noi siamo parte, indispensabile, non sufficiente.
Cinque anni vissuti in disciplina con un branco di cavalli a crescere, quattro anni di tribolazioni di cui due in prigionia, ogni giorno una grazia ogni giorno una pena, ci permettono uno sguardo sereno. A volte è lo sguardo di Athena, cieca e sorda ma determinata dal fiuto, appagata nella vicinanza; a volte lo sguardo di Era, l’altro cane pastore, che fa della difesa dello spazio vitale del branco la sua ragione d’esistenza, la sua ricompensa. Su tutto lo sguardo dei monti.
La montagna vive e vivrà finché dura il dolore, finché sgorga la gioia e trova spazio la pietà,
e chi la abita ringrazia il Cielo. Poi ciò che deve accadere, accade.