di Marcello Berera da L'intellettuale dissidente
In visita a Londra e Hannover, Barack Obama ha avuto occasione di pronunciarsi sulle principali sfide e preoccupazioni che attraversano il Vecchio Continente. Dalla Brexit alla crisi dei migranti passando per le sanzioni alla Russia e il TTIP: qualsiasi mutamento dello status quo europeo è un campanello d’allarme per la Casa Bianca. Non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima che un presidente americano interviene a gamba tesa nei nostri affari interni. Da 70 anni, infatti, «gli americani sentono Parigi, Londra, Praga, Roma, Bruxelles, Varsavia e le decine di altri capitali europee come le loro città». Siamo la periferia atlantica di un’Occidente allargato e la dottrina Monroe si estende ormai dal mar Giallo al Baltico. Val quindi la pena di vedere quali sono i «saggi consigli» – che suonano come imperativi – che il presidente Obama ha dispensato ai suoi alleati europei.
Innanzitutto il Regno Unito non deve abbandonare l’Unione europea. Obama è stato chiaro e a fargli eco c’è tutto l’establishment mondiale degli affari e della finanza. Moody’s ha minacciato che, in caso di Brexit, abbasserà il rating del paese, mentre sia il Fondo Monetario Internazionale che l’OSCE hanno già rivisto al ribasso le loro stime di crescita. I cittadini britannici che si recheranno alle urne il prossimo 23 giugno sono avvisati. «Gli Stati Uniti si rendono conto che la forza della vostra voce in Europa garantisce che l’Europa abbia un ruolo forte nel mondo, mantenendo l’Ue aperta, rivolta all’esterno, e strettamente legata ai suoi alleati dall’altra parte dell’Atlantico. Così gli Stati Uniti e il mondo hanno bisogno che la vostra enorme influenza continui – e che continui all’interno dell’Europa». Quando, nel 1961, il generale de Gaulle si oppose all’ingresso del Regno Unito nella Comunità Economica Europea sapeva bene che la «perfida Albione» sarebbe stata il cavallo di Troia anglosassone nelle istituzioni europee; non c’era bisogno che Obama ce lo ricordasse dalle colonne del Telegraph. Washington chiede a Londra di continuare a fare quello che per secoli gli è riuscito meglio: bilanciare l’equilibrio di potenza sul continente per contrastare il sorgere un’egemonia europea. Il Regno Unito è infatti il maggior promotore dell’allargamento dell’Unione verso Est, perché l’adesione all’Ue è la corsia preferenziale per l’ingresso nella NATO. Più partecipanti ai tavoli di Bruxelles, però, significa soprattutto rallentare le decisioni comuni e compromettere il processo di integrazione delle politiche comunitarie. L’azione dall’interno della «perfida Albione» preclude così il protagonismo europeo sulla scena internazionale, dando forma a un’Unione che, anziché moltiplicare le forze, le annulla. L’Ue è debole perché litigiosa al suo interno come fosse una Babele, ma è devotamente ancorata agli Stati Uniti, difesa dalla NATO e aperta al libero mercato.
A proposito di libero mercato. Nonostante migliaia di tedeschi siano scesi in piazza a manifestare la loro avversione al TTIP, Obama si dice certo che entro la fine dell’anno USA e Ue sigleranno l’accordo per il Partenariato Transatlantico. Tanti esperti hanno analizzato i suoi possibili effetti sull’economia e sulla società, ma troppo poco si è detto sulle sue implicazioni geopolitiche. Cartina alla mano vediamo come i naturali sbocchi commerciali della nostra economia europea ci siano ora preclusi. I maldestri tentativi occidentali di esportare la democrazia in Nord Africa e Medio Oriente hanno gettato le due regioni nel caos più totale, mentre la crisi ucraina ha tranciato di netto quel cordone ombelicale che ci legava alla Russia. Ed ecco che proprio quando sembra tutto perduto, lo Zio Sam ci tende la mano per risollevare la nostra economia. Sulla crisi ucraina val la pena di soffermarci un altro po’ perché potrebbe essere la chiave di volta per comprendere la reale strategia statunitense in Europa. Il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica non hanno messo la parola «fine» alla Guerra Fredda. L’URSS e il Patto di Varsavia non esistono più, ma la NATO continua ad espandersi, minacciando la Russia sempre più da vicino. Il confronto Est-Ovest non era quindi solo ideologico, bensì geopolitico. La nuova «cortina di ferro» corre ora dal Baltico al mar Nero attraverso l’Ucraina. «Senza l’Ucraina – infatti – la Russia cessa di essere un impero, ma con l’Ucraina subalterna e quindi subordinata, la Russia diventa automaticamente un impero» (Brzezinski, La grande scacchiera, 1989).
Le sanzioni che imperterriti continuiamo a prolungare contro la Russia sono un suicidio per la nostra economia. Bruxelles preferisce negoziare un accordo con un partner dall’altra parte dell’oceano e far competere le proprie imprese con le multinazionali americane piuttosto che aprirsi ad un mercato come quello russo, che per complementarietà geografica e di risorse non ci chiede atro che commerciare. E poi, immaginate: l’Europa unita. Da Lisbona a Vladivostok. Potenzialmente autarchica e sicuramente sovrana.Ma ad oggi siamo solo «la testa di ponte americana sul continente euroasiatico».