(Di Francesco Meneguzzo – da “Il primato nazionale”)
Il governo, i sindacati, i partiti filo-europei
dovrebbe ringraziare i patrimoni familiari, la proprietà della casa promossa
dal Fascismo e proseguita dai democristiani, le pensioni inventate novanta anni
fa ed erogate con generosità fino all’avvento dei vincoli di bilancio,
l’occupazione di mezza età e paradossalmente una scuola che ha formato più
disadattati che uomini, se i rispettivi palazzi del potere e del complotto
non sono stati ancora rasi al suolo dalla massa enorme di giovani senza
futuro.
Italia penultima non solo in Europa ma su tutti i 34
paesi Ocse, almeno in teoria quelli più sviluppati, per
il tasso di occupazione dei giovani tra 15 e 29 anni,
l’irrecuperabile età del vigore e della creatività, con un crollo del
12% tra il 2007 e il 2013 e senza alcuna ripresa nel 2014: 52,79%
cioè appena più di metà dei giovani occupati (e di questi oltre metà
precari), appena peggio della Grecia che totalizza il 48,49%. Abbiamo quindi
circa cinque milioni di giovani occupati su oltre nove milioni residenti
nel nostro paese.
Quart’ultima, invece, l’Italia stessa per il tasso di occupazione
di mezza età, tra 30 e 54 anni, anch’esso sceso dal 75% del 2007 al 71% del
2013: secondo l’Ocse, il nostro paese avrebbe “uno specifico problema di
disoccupazione giovanile, in aggiunta a uno più generale”, a causa di “condizioni
sfavorevoli e debolezze nel mercato del lavoro, e nelle istituzione sociali ed
educative”.
Tutto questo
nell’ultimo Rapporto su giovani e occupazione,
pubblicato oggi dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(Ocse). E molto altro.
Per esempio, i cosiddetti “Neet” o giovani non
occupati né iscritti a scuola o in apprendistato, in pratica in giro senza
fare niente, sono in Italia ben il 26,09%, sempre con riferimento
alla fascia d’età tra 15 e 29 anni, quarto dato più elevato dopo Spagna
(quasi a pari merito), Grecia e Turchia. Ma mentre quest’ultima è molto
migliorata dal 2008, in Italia la percentuale è aumentata di sette
punti, così che oggi circa due milioni e mezzo di giovani non
lavorano né studiano, e nemmeno cercano un’occupazione.
Tra questi ragazzi lasciati a se stessi, il 40% ha
abbandonato la scuola prima del diploma secondario superiore, il 49,87% si
è fermato dopo il diploma e il 10,13% ha un titolo di studio universitario.
Attenzione, questo significa che la scuola superiore peggiora le cose
sul piano occupazionale: un milione e trecentomila ci hanno provato, si sono
diplomati, poi si sono arresi. Una evidenza disarmante e disastrosa. Esiste
anche una modesta differenza di genere: a fare la media del 26,09%
contribuiscono le femmine per il 27,99% e i maschi poco meno, per il 24,26%.
Nel complesso dei paesi Ocse, i “Neet” erano
oltre 39 milioni a fine 2013, più del doppio rispetto al 2008. Un esercito
allo sbando, che l’economia in recessione non riesce ad assorbire e di cui le
società faticano sempre più a farsi carico. In Italia, ignorandoli e
lasciandone la cura alle famiglie.
Molti altri dati sono disponibili, e tra questi
uno forse è più degno di nota: tristemente, nonostante un quoziente
intellettivo storicamente (anni ’90 del secolo scorso e precedenti) tra i più
alti del mondo, le quote percentuali di individui tra 16 e 29 anni con
insufficienti competenze letterarie e linguistiche (semi-analfabeti) e aritmetico
- matematiche sono rispettivamente la maggiore dell’area Ocse e la
seconda dopo gli Stati Uniti, quindi comunque prima in Europa.
Altro che il
bizzarro trio berlusconiano internet-inglese-impresa o la renziana
“buona scuola”, quando evidentemente mancano gli strumenti base e, come
pare gridarci il dato sulla rassegnazione, la capacità di formazione del
ragazzo come individuo e uomo responsabile e padrone del proprio destino. La scuola di Gentile, insomma.
Per un paese
manifatturiero, la cui forza è la trasformazione ad alto valore inventivo
aggiunto grazie a competenze e creatività, non riuscire a inserire una parte
così gigantesca di giovani nel mondo del lavoro è un’evenienza tragica e non
solo per il fatto in sé e l’alienazione di masse sterminate. Perché queste
vittime della privatizzazione in svendita, della delocalizzazione, dell’immigrazione di basso livello, del blocco delle opere
pubbliche causa vincoli di bilancio incisi nelle tavole della legge europea,
sono di fatto a carico della collettività nazionale e tali resteranno,
drenando risorse dai consumi discrezionali senza poterne a loro volta
sostenere, tarpando le ali a qualsiasi speranza di crescita in una spirale di
cui non siamo sicuri di voler conoscere la fine.
La scuola “votificio” e “diplomificio” a impronta
cattolica e marxista egualitaria appiattita verso il basso ce l’ha messa tutta
per decenni per sopire l’ardore dei giovani, un lavoro ben fatto. Così come il
corrente martellante riferimento verso il basso della presunta disperazione
immigratoria, coniugato con l’integrazionismo scolastico a prescindere che si
risolve nella penalizzazione e mortificazione degli studenti italiani e
oggi soprattutto dei bambini. Una visione criminale del futuro della
Nazione.
Sarà però il
caso che coloro che hanno creato il problema e che ancora siedono sugli scranni
di potere più alti o – ascoltati – pontificano su tutto dopo averci infilati nel tunnel, non
sottovalutino l’ira del mite perché questa potrebbe essere terribile, quando il
mite si accorgerà di non avere davvero più niente da perdere.