Di Massimo Fini
E ci risiamo. La John Templeton Foundation ha finanziato il filosofo John Fisher con 5 milioni di dollari
perchè coordini un team di scienziati sulla ricerca dell’immortalità.
Il sogno dell’immortalità è antico quanto l’uomo. E si capisce
facilmente perchè. L’uomo è l’unica creatura vivente lucidamente
consapevole della propria fine. Tutte le religioni, promettendo una vita
ultraterrena, sono nate per lenire questa angoscia di morte. Ma con i
progressi della scienza questo sogno si è spostato dal piano metafisico a
quello terreno. Da anni si susseguono ricerche per assicurare all’uomo
l’immortalità qui sulla terra.
Ebbene, se ciò si avverasse, il sogno si rivelerebbe un incubo. Perchè
impedendo il ricambio, pietrificherebbe, alla lunga, l’umanità. Le
toglierebbe ogni futuro. L’immortalità sarebbe la morte.
Sono
"le trappole della ragione" (moderna). Senza spingerci fino
all’immortalità, pensiamo all’allungamento della vita che è uno dei miti
dei nostri giorni (anche Berlusconi ha finanziato ricerche in
proposito: il Cavaliere si accontenterebbe di arrivare a 120 anni, in
fondo non ne è poi tanto lontano). E in effetti, grazie agli sforzi
della medicina tecnologica, rispetto all’epoca preindustriale, in
termini di aspettativa di vita (che non va confusa con le statistiche
sulla vita media che scontano l’alta mortalità
natale e perinatale di un tempo) abbiamo guadagnato circa dieci anni.
In pieno Medioevo, padre Dante fissa il "mezzo del cammin di nostra
vita" a trentacinque anni e qualche millennio prima il biblista afferma:
"Settanta sono gli anni della vita dell’uomo". Oggi siamo a 82 per le
donne e a 79 per gli uomini. Ma come si vivono questi anni rosicati? A
parte persone della tempra eccezionale (che ci sono oggi come c’erano
prima, anzi un tempo erano probabilmente di più perchè moltissimi sono
gli esempi di ottuagenari, nonagenari e persino centenari attivi e in
buona salute), si passano nella malattia, nelle limitazioni sempre più
pesanti e degradanti. Nella solitudine. E c’è un ulteriore
controeffetto. Conosco molti amici cinquantenni e sessantenni, ancora
nel pieno del loro vigore e che avrebbero diritto di vivere la loro
vita, oberati da genitori ultraottantenni, novantenni, defedati, non
autosufficienti, il cui peso è difficilmente sopportabile. O ci si
sacrifica, in un’età ancora buona, o c’è l’umiliazione, reciproca, della
"badante" oppure il calcio in culo del cronicario.
L’allungamento
della vita ha avuto altre conseguenze pesanti. Se da qui a poco saremo
costretti ad andare in pensione in un’età molto vicina alla morte, e
quindi inutilmente, è perchè in circolazione ci sono troppi vecchi. Ma
la conseguenza più devastante è che la speranza di poter prolungare la
propria vita "ad libitum" ha indotto una paura della morte (l’ossessione
della medicina preventiva, per limitarci a questo aspetto, ce lo dice
ogni giorno) quale nessuna società del passato ha conosciuto in uguale
misura. E come diceva il saggio Epicuro: "Muore mille volte chi ha paura
della morte".