Un muro dell’informazione e della storia a senso unico che non può essere buttato giù in tempi brevi. Al massimo si può tentare di graffiarlo, di scalfirlo appena. Basti pensare a un bilancio provvisorio degli ultimi quindici anni in cui la destra, sebbene a intermittenza, è stata al governo. Il risultato? A livello di produzioni di impatto sul grande pubblico, un paio di fiction (“Il cuore nel pozzo” e appunto “Il sangue dei vinti”) che hanno fatto quasi gridare all’operazione di regime gli antifascisti militanti. Opere decisamente minori, sia a livello artistico che a livello storiografico. Che hanno avuto l’effetto di scontentare tutti. Incluse le associazioni degli esuli, secondo i quali la fiction sulle foibe era risultata addirittura insultante nei confronti delle vittime. E i partigiani titini, ve li ricordate? Non venivano mai chiamati comunisti. Piccoli particolari.
Rassegnatevi. Lo dice a modo suo anche Pietrangelo Buttafuoco, autore del best seller “Le uova del drago”. Con i premi e le recensioni entusiastiche come ricorderete incassò pure la patente di scrittore filo-nazista. Almeno la narrativa, ha spiegato Buttafuoco «è zona franca». Un ragionamento che verte su un curioso paradosso: il libro politicamente scorretto ha un accoglienza migliore di un libro che ha pretese di correttezza storica. L’esempio in tal senso è incarnato da Nicola Rao, il quale sugli anni di piombo e la destra ha realizzato per Sperling & Kupfer delle documentate ricostruzioni giornalistiche e storiche (su tutte “Il piombo e la celtica” e “La fiamma e la celtica”). Come è stata liquidata la sua rigorosa operazione storiografica? Anche su quotidiani “indipendenti”, l’autore è stata etichettato come «giornalista di note simpatie di destra». Come liquidare una seria operazione giornalistica di un professionista in due parole. Provate a cercare in libreria qualche libro che parla di quegli anni scritto da un ex redattore dell’“Unità” o del “manifesto”. Non troverete mai una recensione sul “Corriere della Sera” o su “La Stampa” che lo liquida come un «giornalista di note simpatie di sinistra». Forse perché quello stesso recensore di via Solferino o del giornale della Fiat ha iniziato lavorando nel quotidiano del Pci o nella redazione di via Tomacelli. Insomma, la logica è la stessa che inquadrava le Brigate rosse come risposta alla strage di Piazza Fontana. Che dipingeva i brigatisti «compagni che sbagliano». E le foibe «una risposta alle stragi fasciste».
Rassegnatevi. Una storia condivisa, almeno nell’anno 2012, è ancora lontana.