domenica 26 maggio 2013

Lettera non pubblicata a Repubblica: difesa della reazione

Lettera al direttore (stranamente non pubblicata) di Repubblica, in risposta ad un'altra lettera pubblicata. Qui il link http://www.repubblica.it/cronaca/2013/05/25/news/lettera_diciassettene-59584404/

Caro Direttore,
non credo verrò mai pubblicato, ma non vedo perchè non tentare. La lettera del giovane Tancredi credo abbia due passaggi che vanno approfonditi perchè di grande interesse, spero che farlo da destra possa essere di interesse per i Suoi lettori.
Primo: il gesto dello studioso suicida sull'Altare di Notre Dame pare abbia molto colpito il Vostro lettore. Perchè? Dopotutto si è trattato di un gesto isolato, senza grosse conseguenze (e le poche registrate sono state tutte contro di noi, peraltro). Eppure nel “gesto di un folle” questo ragazzo nota qualcosa che lo turba. La sua sensibilità gli fa cogliere qualcosa che a moltissimi è sfuggito, anche se non avendo un vocabolario per descriverlo Tancredi deve ricorrere a quello psichiatrico.

Partiamo da un punto, che siate d'accordo o meno, esiste un piano spirituale della vita. Io lo definirei quel sentierio che, da grembo a tomba, e prima del grembo e dopo la tomba, lega i nostri gesti a chi ci ha preceduti e ci ha seguiti. E' una versione laica della Vita Eterna religiosa. Per vedere questo sentiero non serve venerare alcun Dio od appartenere ad alcuna Chiesa. Aiuta, ma non è fondamentale.

Questo sentiero è il regno dei reazionari. Gomez Davila li definiva come “cacciatori di ombre sulle colline dell'Eterno”. Ci è andato vicino, ma in realtà siamo meno liberi battitori di quanto non credesse. Siamo meri cartografi. Nelle mille reti e connessioni troviamo solo le vie principali e su quei sentieri raccogliamo le fiaccole di chi ci ha preceduti e le porgiamo a chi continuerà dopo di noi.

Il Gesto (la maiuscola è voluta) di Venner non è stato altro se non una chiamata alle armi. Non adesso, non qui, non ora. Lo è stata per chi ci seguirà. E' stato un sasso nello stagno del tempo. Come Jan Palach prima di lui, o Alain Escoffier, i contemporanei lo considerano un pazzo. Ma Tancredi ha già compreso che qualcuno raccoglierà quella torcia. E continuerà la corsa. Per questo lui teme, sa, che non è stato il gesto di un folle, ma il sublime sacrificio (non il sacrifico della vita terrena, ma della Vita Eterna) che ha dato il futuro ad una lotta che pareva già vinta dai relativisti. D'altrone anche Palach ha vinto. Anche i monaci vietnamiti che si immolavano in strada hanno vinto. La dittatura del materialismo sembra sempre essere ad un passo dal divorare tutto ciò che è sacro, ma è la natura stessa dell'uomo ad opporsi.

Vorrei, però, come secondo punto, rassicurare Tancredi: la tua disperazione nasce da un errore di prospettiva fondo. Non hai bisogno dello Stato per amare. Non è la sanzione di un pubblico ufficiale a dare corpo ad un sentimento e nessuna carta bollata potrà mai dire quanto davvero tu tenga ad una persona. Questa battaglia non riguarda te come persona, ma noi come Nazione. Tu sarai sempre tu, a prescindere da cosa una legge potrà permettere o negare.

Concludo con una riflessione: questa lettera, se mai dovesse passare una legge contro l'omofobia, potrebbe costituire un reato. No, Tancredi non è l'unico a chiedere di continuare ad esistere. Io però non ho la sua stessa, divorante, paura. Io so che, alla fine, mi sarà concesso di esistere. Perchè nessuna legge umana potrà mai negarmelo.

Cordialmente


Luca Rampazzo.