Novanta anni fa Kimitake Hiraoka,
cioè Yukio Mishima. Nasceva una vita straordinaria, in un remoto gennaio, a
Tokio. Oggi, questo intellettuale unico avrebbe avuto novanta anni e avrebbe
parlato ancora al suo Giappone e al risveglio della Tradizione. Reduce di un’
esistenza mai placata, egli forse avrebbe avuto parole miti, dopo la sua storia
di poeta-soldato. Ma Yukio
decise di non parlare più, perché portava
dentro di sé un desiderio: bruciare; perché all'uomo spetta un destino, ossia
“appartenere al cielo” e continuare ad innalzarsi, “in alto, sempre più in
alto, e senza tregua… / verso altezze remote dell’umano” - dal suo “Icaro”(1968) – e sino a
bruciare.
Sulle soglie di una guerra di
religione e sull’asfalto arroventato di una crisi epocale, attualmente,
sappiamo rileggere il vitalismo di Mishima? Noi, i disincantati e tanto
realisti, possiamo continuare a recitare i suoi abbaglianti versi, “Niente mi
può appagare…” Piace
rammentare la sua passione novecentesca tutta raccolta nell’opera-eredità “Sole
e Acciaio”. E attrae tuttora il suo racconto contro-rivoluzionario; tuttavia,
non sembra essere questo il momento per scrivere del poeta che cercava prove
seducenti del coraggio nel dolore e nella morte. Invece, le nostre sensibilità
post-romantiche hanno voglia di leggere un Mishima
minore, meno assorbito dal
mercato editoriale, naturalmente meno completo rispetto alle “Confessioni di
una maschera” (1958).
In questi nostri giorni dubbiosi, è
il narratore di “Ali” (1951) o de “Il pino della Hama Rikyu”(1951) o di
“Cruciverba” (1952) che ci rende più sensibili. Queste opere di un giovane
scrittore, raccontante ansie, disegnano una sofferente delicatezza. In particolare
“Ali” riferisce la storia di una sopravvivenza dentro una narrazione
trasparente, molto simbolica; e qui il simbolismo è raffigurato dalla comparsa
delle ali sul corpo di un adolescente. Ecco
Mishima, lo scrittore delle ali… quelle ali mai scoperte sulle nostre schiene…
quelle ali che, per realistica miopia o per disincanto utilitaristico, non
riusciamo a ritrovare poiché abbandonate come i sogni, come le ali che “… non
venivano mai spazzolate, le penne diventavano sporche e grigiastre come le
piume di un uccello imbalsamato. Sugio non riusciva a capire il senso di
muoverle su e giù.”
Le ali di
Mishima, ovvero una metafora, per ritornare al sogno, per non dimenticare
progetti o scommesse. E’ vero, “Le ali non sono adatte per camminare
sulla terra” ma senza le ali siamo spinti verso conclusioni infelici, verso un
presente che non sa custodire la voglia di vivere. Come accade a Yoko,
personaggio del racconto, travolta dalla violenza, “Yoko non aveva più la testa. La
ragazza senza capo, inginocchiata in terra non cadde, come sostenuta da
forza inesplicabile: solo, battè ripetutamente entrambe le braccia
bianche su e giù con violenza, come ali…”
Il poeta con vivide visioni per il
Giappone imperiale; l’intellettuale innamorato del pensiero che si rinnova in
azione; il cultore del corpo-strumento che si trasforma perennemente; Mishima,
il ‘Che Guevara della Destra’, come lo definiva Marcello Veneziani in un
lontano articolo del 1995 – a novanta anni dalla sua nascita – può ritornare a
noi, più che mai, con un racconto breve e favolistico. L’opera “Ali” raffigura
allegoricamente un avvertimento, vale a dire: abbiamo disimparato a scoprir le
ali; esse stanno lì dietro, sulla nostra schiena curva, e forse ne sentiamo
pure il peso come il personaggio del racconto, “Infatti, le rigide ali invisibili
si posano sulle sue spalle come un falco e guardano il suo profilo con grande
solennità. Sugio non sa che ostacolano in silenzio la sua carriera. Non c’è
nessuno che insegni come liberarsi di queste ali?” oppure aggiungiamo metaforicamente:
C’è qualcuno che ci insegni come usarle, le ali? E c’è qualcuno… per
ritornare a volare, a sperare?
(Da Barbadillo.it