lunedì 26 gennaio 2015

Europa e Islam: tra perbenisti, integralisti e jihadisti d’Occidente

Sono passate quasi tre settimane dall’attentato alla sede parigina del giornale “Charlie Hebdo”: un evento che ha sconvolto l’Europa, toccata pesantemente in casa propria da un vero e proprio atto terroristico.
Ora che la notizia è passata di moda e nessuno si sente in dovere di mettersi in luce dicendo la propria, è giunto il momento di operare un’analisi obiettiva, realizzata a mente fredda.
L’evento, in sé, è indiscutibile e inopinabile: l’uccisione di 12 persone è assolutamente ingiustificata, soprattutto se attuata nel nome di un’assurda e deviante credenza religiosa. Ciò su cui è importante riflettere, dunque, sono le varie reazioni che questo scandalo ha suscitato nell’opinione pubblica continentale.

In primis, va spesa qualche parola riguardo il gregge di persone che si è unito al pensiero unico imposto da giornali e televisione: da un giorno all’altro, popoli interi si sono riscoperti difensori della libertà d’espressione, uniti sotto la bandiera dell’ormai universale “#jesuisCharlie”. Uno slogan accattivante, incisivo, ammodernato da quell’hashtag che fa molto “cool”: gli ingredienti perfetti per mettere ancora una volta al guinzaglio tutti coloro i quali non aspettano altro che un fantoccio contro il quale scagliarsi, una battaglia indotta che scateni la loro indignazione. Scenari degni dei “due minuti d’Odio” descritti da George Orwell nel suo ‘1984’, libro tristemente profetico della società contemporanea, ormai sempre più vicina e comparabile al mondo distopico ideato dall’autore inglese.
E in tutto ciò, poco importa se il comico Dieudonné viene arrestato per “apologia di terrorismo” per una battuta, culmine di un anno di persecuzioni e censure dovute alla sua critica al popolo sionista. Se i giornali non ne parlano, perché scandalizzarsi? La “liberté” è sacra, ma solo finché fa comodo a chi di dovere.
Questa ‘fazione’ di pensiero, tuttavia, resta quella meno tremenda, per quanto sia la più diffusa.

Le opinioni più folli e assurde, infatti, sono quelle che sono scaturite dal rinnovato dibattito sul confronto tra l’Europa e i popoli di religione islamica.
L’attentato di Parigi ha ridato ossigeno a tutti gli esponenti ormai anacronistici della “destra” cristiana e falla ciana. Ebbene sì, ancora la Fallaci: la cara Oriana, anni dopo la sua morte, è tornata sotto i riflettori per le sue tesi sull’islam, più correttamente etichettabili come un becero invito a una nuova “guerra santa” nel nome della superiorità dell’Occidente (superiorità piuttosto opinabile, per altro).
Giornalisti, parlamentari e intellettuali da tastiera hanno rispolverato i tomi della Fallaci per andare a ricavarne qualche citazione ad effetto che giustificasse il proprio odio cieco verso il mondo islamico. Tra tutte le perle sentite e rilette in questi giorni, spicca l’ormai abusato “Non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici”. Senza andare a spulciare i profondi studi geopolitici che hanno condotto la Fallaci a questa frase profonda ed esaustiva, è necessario denunciare la pochezza intellettuale di coloro i quali hanno usufruito di questo passaggio in maniera superficiale e decontestualizzata, accecati dal disprezzo impulsivo verso una cultura di cui non sanno praticamente nulla, se non come i popoli islamici vengono dipinti ed etichettati grazie alle stesse, solite parole: “Al-Qaeda”, “Isis” e “Jihad”.
Ciò che fa amaramente sorridere, guardando a questi “crociati de noantri”, è la loro appartenenza politica: la maggior parte di loro, infatti, fa parte di pseudo-schieramenti capeggiati da quei ‘leader’ che si sono resi complici del folle processo di immigrazione che ha portato in Italia un numero incontrollato e ingestibile di clandestini in fuga dai loro Paesi, impoveriti e distrutti proprio dai processi ‘democratici’ all’americana.
Perché, citando il sempre lucido Alain De Benoist, non bisogna dimenticare le cause prime che portano a questi conflitti: per decenni, forse per secoli le potenze occidentaliste hanno assediato, distrutto e ridotto alla miseria i popoli islamici. Lo scopo? Ufficialmente, portare la democrazia; in realtà, controllarne le risorse per i propri interessi e annientare uno alla volta i governi sovrani presenti nella polveriera mediorientale.
Questo articolo, tuttavia, non vuole porsi come una difesa a spada tratta del mondo islamico: se è corretto distinguere i musulmani dai terroristi, è tuttavia innegabile ammettere che l’integralismo è un lato evidente e presente nel mondo dei seguaci di Allah. In tutta Europa, infatti, più di qualche islamico ha ben pensato di appoggiare le azioni dei fratelli Kouachi, meritevoli di aver “punito gli infedeli”.
Proprio a partire da questa considerazione, è doverosa un’analisi dell’ultimo fronte della vicenda: quello dei perbenisti. Quei buonisti che, anno dopo anno, si sono bevuti la favoletta dell’integrazione, additando come “razzista” e “fascista” chiunque avesse il coraggio di affermare che la coesistenza di culture così profondamente diverse non è altro che una folle utopia.

Dalla Boldrini alla Kyenge, passando per i radical-chic che fanno della fratellanza e del rispetto per il diverso la loro bandiera, tutti a sostenere il bene del multiculturalismo, tutti uniti con un agghiacciante fine comune: il meticciato. Questo termine che rappresenta l’annullamento di ogni tradizione, l’eclissi di ogni sana differenza, la fine di ogni identità.
Creare l’uguale nel nome del diverso: questo l’obiettivo da strapazzo del bravo buonista, troppo offuscato dalle belle parole e dalle frasi commoventi per capire che la sua ideologia sta lentamente portando alla distruzione dell’Europa. E allora via con le giustificazioni, pronti a schierarsi come difensori del “povero immigrato”, in realtà visto come nient’altro che una buona argomentazione per ottenere qualche voto o “like” su Facebook in più.
Tutte queste visioni, la triste cecità che caratterizza la nostra società fanno rabbrividire e sono, in definitiva, tutte condannabili. Ma non preoccupatevi, non vi uccideremo: crediamo nella libertà d’espressione.
Concludendo, è giusto rivolgere un invito generale, una domanda di attenzione rivolta all’Europa. Un’Europa bistrattata, dimenticata, privata della sua identità, trasformata in uno spettro negativo dalla terribilmente predominante logica dell’interesse che permea la società turbo capitalista.
E permettetemi di proporre un nuovo slogan, con buona pace di “Je suis Charlie”: perché oggi, domani e per tutta la vita, quello che mi sento di dire è che “#IosonoEuropeo”.

A.F.