martedì 20 gennaio 2015

Il laicismo ha voluto divorziare pure dal suo essere rivoluzionario. Non ci resta che "La Croce"

“Notre vie est un voyage
Dans l’Hiver et dans la Nuit
Nous chercons notre passage
Dans le Ciel où rien ne luit”


Con questi versi, presi da una canzone delle guardie svizzere di fine Settecento, Louis Ferdinand Auguste Destouches, più noto come Celine, comincia il suo “Viaggio al termine della notte”. Romanzo eclettico, cupo, ritratto pessimista di una società in disgregazione e colma di ipocrisie, composto da uno scrittore che pagherà il suo antisemitismo, e pure altre scelte politiche, con la marginalizzazione e l’esclusione dal grande circolo culturale ereditato dalla Francia e dall’Europa del dopoguerra. Un intellettuale, Céline, che indipendentemente dal merito politico delle proprie posizioni, si può definire fortemente anticonformista, avverso alle impalcature che reggono la società liberale del Novecento, sublime nella ricerca di un linguaggio al tempo stesso diretto e ricercato, pure ansiogeno nella sua anarchia espressiva.
Leggendolo, viene da chiederci se c’è ancora spazio per uno scrittore così nella cultura europea, ma soprattutto in quella italiana. Viene da domandarsi se c’è spazio per una persona intimamente anarchica, capace di oltrepassare le barriere del politicamente corretto, dell’ipocrita, del piattume ideologico nel quale siamo immersi; e viene pure da rispondersi, con un no, dato che ciò che oggi viene dipinto come trasgressivo e profondamente alternativo reca drammaticamente con sé i crismi di un pensiero melenso, prevedibile e stancante. Il trasgressivo e il gusto della trasgressione oggi paiono coincidere con una battuta di Crozza, con una vignetta di Vauro, con la risatina facile, con la sempiterna gag su Berlusconi, con la ridicolizzazione dell’elettore leghista e la marginalizzazione di chiunque, in ultima analisi, non si pieghi al pensiero unico. Le vette dell’ideologia nazionale paiono coincidere coi Saviano, con le De Gregorio, con gli Scalfari, i Maltese. Personalmente leggo da molto ciò che proviene da questi lidi. Talmente tanto che ormai saprei con assoluta precisione anticipare il parere o un discorso di uno di questi personaggi su qualunque tema, con la certezza pressoché matematica di colpire nel segno e di vedere autenticato, di lì a poco, il mio piccolo e triste presagio intellettuale.
Il problema è proprio il pensiero unico, quell’alveo nel quale paiono incanalarsi molti degli odierni pensatori, degli uomini di spettacolo, degli intellettuali o presunti tali, un fiume in cui si galleggia perennemente nella stessa acqua stagnante. Contrariamente a quel che si può pensare, non c’è davvero spazio per la costruzione di una alternativa reale e tanto meno ve n’è per i suoi interpreti. Facilissimo sollevare la matita in un pomeriggio domenicale, piazzando l’hashtag facile dopo le morti di Charlie Hebdo, pare però davvero difficile scorgere una reale alternativa a casa nostra, una satira anti-sistemica, una critica realmente controcorrente. E’ un viaggio al termine della notte anche questo, la notte della vivacità intellettuale defraudata, la notte dell’ardore spirituale ormai sopito da una televisione gracchiante, da un editoriale domenicale da salottino romano o da altri continui furti a ciò che di più bello possiede il popolo italiano, ovvero quell’anarchia innata e spontanea, intimamente capace di ribellarsi a tante imposizioni, quel sano egoismo pure intellettuale che pare voler essere definitivamente defraudato e cancellato. Chissà, ce l’avrà chiesto l’Europa, dalle colonne di Repubblica.

Restando in Italia, ho salutato con favore la nascita del quotidiano “La Croce” di Mario Adinolfi perché nel suo piccolo riprende questa capacità, quella di dar voce finalmente ad un qualcosa di contrario, di antitetico rispetto al corso di quel fiume fatto di banalità di cui si parlava. Sarà difficile cogliere in un giornale filo clericale, d’impostazione cristiana e identitaria una capacità di andare controcorrente che normalmente ci si aspetterebbe da fogli più roboanti, anticlericali, laici e laicisti, antipapali, meglio se collocati a sinistra strizzando l’occhio a Civati. Sarà pure difficile cogliere tutto ciò in un foglio diretto da Adinolfi. Eppure è così. Professarsi cristiani, professarsi religiosi al giorno d’oggi è un atto di coraggio fortemente rivoluzionario. E’ rivoluzionario nella sua scelta e nella sua direzione, palesemente contraria ad una globalizzazione imperativa e in primis intellettuale, contrario ad un andazzo laicale che sempre più assume i toni di una religione, contrario alle discriminazioni di cui spesso sono vittime i credenti, che pare sempre debbano scusarsi di qualcosa, di un loro presunto ritardo (fisico e sociale) o di una incapacità di stare al passo coi tempi. Non è solo una rivoluzione nei confronti di ciò che oggi i cristiani subiscono nel mondo, è una rivoluzione anche nei confronti di un ceto intellettuale che fa coincidere con la dimenticanza delle proprie radici culturali il progresso più puro, sempre in nome di qualcosa che sta oltre, che sta fuori, più avanti, e che il popolino non comprende. Rivendicare le proprie origini, la propria cultura e le proprie radici ad oggi è un atto fortemente controcorrente. Lo è difendere i dialetti, le dimensioni regionali, lo è difendere il patrimonio nazionalpopolare e il suo diritto ad esprimersi in tutti i modi, specialmente quando ciò non piace a chi ama bollare il dissenso come populista, retrogrado, o peggio. Ben vengano i giornali di ispirazione cattolica, ben vengano gli Adinolfi, ben vengano i difensori del diritto di pensarla diversamente. Gli scherzi a Brosio, le Femen in piazza, il femminismo a tutti i costi, le unioni civili omosessuali come nuova frontiera spirituale, le accuse di omofobia o di altre fantomatiche paure calate come il prezzemolo, l’inascoltabile stigma del “cattofascismo”, la denigrazione della famiglia ormai hanno stancato. Pure più nei modi che nei contenuti. Non se ne può più del sessantottismo istituzionalizzato, delle donne che dal corteo sono salite in cattedra, degli uomini che dal megafono e l’eskimo sono passati al microfono e la giacca da conferenza. C’è un dannato bisogno di aria, e qui le finestre non le spalanchiamo da quasi cinquant’anni. Da agnostico, dico ben vengano i cattolici, ben venga Cristo,  Adinolfi e ben venga La Croce, se può liberarci da tutto ciò. Venga, se possibile, con un piccolo appunto: evitando di riproporci la solita, bolsa celebrazione del papafranceschismo de noantri, da lasciare a chi nella Chiesa vede una sorta di redazione dell’Espresso munita di papalina. La chiesa è altro, il cristianesimo sa e può essere più trasgressivo. Ed è quello di cui abbiamo bisogno.


(Di Alessandro Catto, da Blog - Il Giornale)