Tempi duri questi, e non che non ce ne fossimo accorti
prima. La strage parigina dei giorni scorsi ha fatto suonare il campanello
d’allarme. L’Europa si è calata le braghe e si è mostrata per quello che è. In
declino, impotente, miscredente e blasfema, senza identità, o dall’identità
corrotta, incapace di ritrovare se stessa, impantanata com’è tra gli stagni
dell’indifferenza. Insomma ciò che è venuto fuori, come un magma esploso da un
vulcano già in attività, è un’Europa sempre più debole che soffre, o ha già
sofferto, una profonda erosione di identità. Da una parte coloro che la
rivendicano, riesumando sogni di un lontano passato, dall’altra il coro di chi
sta ancora pensando da cinquanta anni a cosa potrebbe essere una nuova Europa.
Il punto è che il concetto di Europa non rievoca più niente, se non le macerie
su cui si è costruito l’Occidente. Archeologia, non parliamo di politica.
Nessuna unione tra popoli, nessuna identità da salvaguardare, se non fosse
chiaro ancora a Salvini. La nostra l’abbiamo mandata a puttane già da un pezzo,
e non è il caso di fare i piagnistei.
Modernità non fa rima con identità, e contemporaneità men
che meno. Rivendicare l’identità cristiana come humus poi, oltre che falso, è
anche ipocrita. Offriamo incenso ai feticci della scienza e del progresso, in
nome di un illuminismo religioso e scientista, predichiamo la libertà e
bombardiamo mezzo mondo, abbiamo disintegrato le nostre tradizioni secolari,
ridotto a calcoli le nostre vite, schiavi di un progresso alienante e
dissacrante e abbiamo ancora il coraggio di tenerci stretta la nostra identità? Sì, ma quale? Non abbiamo
identità, siamo come raminghi in cerca di una casa, di un riparo. Un nido che
possa proteggerci dai mostri: il relativismo e il nichilismo, esaltati come
gloriosa conquista, allo stesso tempo ci spaventano come cani rognosi, con la
bava alla bocca, pronti a gustare le prelibate carni di uomini stolti e
volgari.
Insomma abbiamo completamente dilaniato ciò che restava
di quella grande Europa e noi non abbiamo raccolto nulla di essa. La sua
eredità spirituale, gloria e fasti, non li ha raccolti nessun paese europeo.
Non c’erano le condizioni per farlo. Non c’è più nessuna Europa, c’è un’eredità
europea. Scrive Jan Patočka in Europa e L’eredità Europea,
inSaggi Eretici sulla
filosofia della storia, che ‘’l’unità
dell’Europa occidentale, confermata dalle imprese militari, intimamente segnata
dalla dualità del potere spirituale e temporale, pur nella supremazia del
primo, costituisce una delle tre versioni dell’idea del sacrum imperium: oltre
a quella europeo-occidentale, quella bizantina e quella islamica. […] Ma che
cos’era nella sua essenza l’idea del sacrum imperium? Nient’altro che l’eredità
spirituale dell’Impero romano, tramandato per l’alienazione esistente tra
l’organizzazione statale e il pubblico su cui si fondava. Roma, nella sua
essenza, è l’ossessione dell’idea dell’imperium, dello Stato nel suo aspetto
più proprio, indipendente dalla base etnica, dal territorio e dalla forma di
governo, o per lo meno è in questa forma che trova la sua dimensione e lo
sbocco al suo ostinato impegno di lotta e di organizzazione’’. Roma rappresenta – per Patočka
– l’eredità della civiltà greca, della polis greca, una comunità <<fondata
direttamente sulla verità>> e sulla giustizia, in ultima analisi sulla cura dell’anima.
Mentre il mondo greco intendeva la cura dell’anima come un tentativo di
riscoperta di sé, un sé che si fa divino e che decide sul suo essere,
Roma ha inteso la cura come tentativo di estendere al mondo conosciuto il
diritto oggettivo.
L’Europa nasce dunque dalla cura dell’anima, dell’essere.
Ora quel che rimane dell’identità europea non è altro che una miserabile cura
dell’avere, in cui non c’è spazio in alcun modo per la contemplazione, per
l’essere, ma dove tutto diviene liquido, niente è più stabile, tutto è in
perenne movimento, come un’onda. Che cos’è un’onda? Dov’è un’onda? Dove finisce
un’onda e inizia l’altra? Le relazioni sono inefficienti, false, l’apparire
detta legge mediante gli idoli della tecnologia, l’individuo è sempre più solo
e sofferente, incapace di reagire, diviso tra molteplici identità, insicuro e
vigliacco, che vive nel rumore quotidiano circondandosi del precario.
Precarietà sentimentale, precarietà emotiva, precarietà lavorativa, precarietà
in ogni ambito. Emblema di questa sofferenza tutta europea è la metropoli. La metropoli è un
pantano, è un raccoglitore di uomini annebbiati da un narcotico seducente che
lascia apparire bianco il nero, profumata la melma. In essa gli uomini sono
ridotti a numeri, la vita scorre nell’indifferenza dell’altro, tutto è
frenetico, la vita stessa diviene una frenesia, tanto è che bisogna evadere nel
proprio spazio domestico o partire lontano. Non c’è più spazio per il bene
dell’individuo. Anzi, questo viene confuso col benessere, ma il benessere non è
che felicità materiale, utile, sì, ma non necessaria. In tutta questa
confusione ciò che è messa costantemente alla prova è la fede. Beato quell’uomo
che conserva la fede in un’epoca di sfascio totale! La religione rappresenta
davvero un baluardo, un’ancora di salvezza contro le sfide che giungono da un
mondo dissacrante e alienante che fa della sua bandiera più alta il capitalismo
sfrenato e la reductio ad unum dell’individuo,
cioè a atomo a-spirituale.
A dare corda a questa ideologia di sfascio tutta moderna
è l’azione, (sarebbe meglio dire la non-azione) della Chiesa. Per secoli ha
retto le fila di un mondo intero ed ora non ha più alcun potere. Con lo scempio
compiuto dal Concilio Vaticano II in ambito liturgico, la civiltà Europea ha
perso persino il suo collante più intimo, ha dissolto secoli di spiritualità
allontanando sempre più l’uomo dal mistero, dal rapporto col divino. Sacer significa separato, distaccato,
e ciò allude al fatto che il sacro segna il punto di confine con la
quotidianità profana. Dove trovare allora il sacro se si rifugge dalla quotidianità
media?
La Francia, che ha incarnato l’Europa in
divenire con
l’illuminismo e la rivoluzione, ha ceduto il posto nel suo ruolo di erede
dell’identità europea agli Stati Uniti. D’altra parte, ridotto a polvere il sacro,
profanata la riverenza, pubblicizzata e messa a nudo la libertà solo come
diritto e non più come dovere, in una perfetta ‘cultura del piagnisteo’
l’eredità politico-spirituale dell’Europa è stata raccolta dalla Russia, che la
conserva con gelosia ancora oggi. Ed è per questo che la Russia potrebbe
rappresentare un baluardo nella difesa dei valori della vetusta tradizione
europea, ostacolo al neoliberismo e all’ultracapitalismo, crocevia di culture,
popoli e tradizioni. Un nuovo concetto di Europa, anzi di Eurasia, come
comunità di popoli legati da un genuino e più che mai esigente senso di comune
identità. Certo, restano da superare forme di nazionalismo ingenuo. Non si può
pensare che l’Islam non c’entri o c’entri poco con la cultura europea. Una nuova
grande comunità Eurasiatica dovrà tenere conto delle diversità culturali di
ogni popolo ed etnia, ben consapevole delle comuni radici, sia dal punto di
vista politico che religioso. L’islam può e deve essere una risorsa, a patto
che non si pensi ad uno scontro di civiltà, e a patto che esso stesso riveda il
suo nucleo interno: troppe vittime saranno mietute nei prossimi decenni, e il
peggio dovrà ancora arrivare. Il modello di integrazione proposto dall’Unione
Europea e dai suoi Stati è fallito; più che integrazione si è vista assoluta
ghettizzazione e questo lo si può evincere, con un colpo d’occhio, dalla
divisione etnica dei quartieri delle grandi città o delle metropoli.
Un nuovo illuminismo potrà allora significare pacifica
convivenza in una pacifica comunità, che metta da parte lo scontro di classe
persistente in quest’ottica capitalistica e scellerata, e che ponga fine ad uno
scontro tra civiltà che po
i affonda le sue radici nello stesso scontro di
classe. Un nuovo illuminismo potrà essere realizzato solo se si comprenderà
l’urgenza di rifiutare la sozzura proposta dalla religione della scienza e del
progresso, dall’elevazione agli altari delle opere umane, dalla riconquista del
senso e dalla contemplazione della Verità. La strada è però dura, e il primo
obiettivo da colpire ha il nome di Capitalismo. Cogito…(Da "L'intellettuale dissidente)