Fin dall’antichità l’educazione della gioventù aveva rappresentato un
argomento fondamentale nell’organizzazione dello Stato e della comunità
politica: il ruolo centrale dell’insegnamento era già stato analizzato
brillantemente sia da Platone nella Repubblica che da
Aristotele nella Politica. Entrambi giungevano alla conclusione
che la scuola non poteva che essere pubblica, perché solo in tal modo si
sarebbe potuto consolidare e diffondere la coscienza di comunità e informare ai
principi della polis le nuove generazioni. Se
Platone aveva soltanto potuto immaginare idealmente lo Stato dei Filosofi, a Giovanni
Gentile, duemila anni dopo, si presentò invece l’occasione concreta di poter,
da filosofo, riformare profondamente la scuola Italiana. Nominato Ministro
della Pubblica Istruzione all’indomani della Marcia su Roma, Gentile si mise
subito all’opera per plasmare il modello educativo italiano secondo le proprie
teorie: il frutto di tale lavoro è la celebre “Riforma Gentile”, definita da
Mussolini, ex maestro elementare, “La
più Fascista delle Riforme”.
La scuola Fascista innalza l’obbligo scolastico a 14 anni
ed istituisce la scuola elementare a ciclo unico. Una volta terminata la prima
fase di studi, l’allievo si trova davanti a quattro strade: il ginnasio,
quinquennale, che dava l’accesso ai Licei, unica via per l’Università; l’istituto tecnico ; l’istituto magistrale, destinato
alla preparazione dei maestri di scuola elementare; la scuola
complementare di avviamento professionale, triennale, al termine
della quale non era possibile iscriversi ad alcun’altra scuola. Dal punto di
vista delle materie, Gentile introduce lo studio della religione Cattolica
nella scuola primaria, poiché utile a creare un minimum di spirito intellettuale nelle masse
popolari. Nei Licei, invece, compare la Filosofia, affinché le nuove leve della
futura classe dirigente fossero dotate di un elevato bagaglio culturale e
ideale. Il concetto fondante l’azione Gentiliana è quello secondo cui gli
studi, specie quelli secondari, devono essere “Aristocratici, nell’ottimo senso della parola:
studi di pochi, dei migliori [...] cui l’ingegno destina di fatto, o il censo e
l’affetto delle famiglie pretendono destinare al culto de’ più alti ideali
umani. La limitazione delle iscrizioni è propria delle scuole di cultura e
risponde alla necessità di mantenere alto il Livello di dette scuole
chiudendole ai deboli e agli incapaci” E’ quindi una scuola
classista, borghese, censitaria, che preclude alla gran parte del popolo
l’accesso all’istruzione secondaria ed all’Università, quella partorita dalla
mente del filosofo siciliano. Ma è ciò che Mussolini, nel 1923, vuole:
“Sono
cinquant’anni che si dice che la scuola va riformata e che la si critica in
tutti i modi: si è gridato in mille toni che bisogna rendere finalmente la
scuola seria, formativa dei caratteri e degli uomini. Il Governo fascista ha
bisogno della classe dirigente.. Non posso improvvisare i funzionari in tutta
l’amministrazione dello Stato: tutto ciò deve venirmi a grado a grado, dalle
Università [...] Non è più il tempo in cui si poteva essere impreparati.
Appunto perché siamo poveri ed ultimi arrivati, dobbiamo armare potentemente la
nostra intelligenza. È quindi necessario che gli studenti studino sul serio se
si vuol fare l’Italia nuova. Ecco le ragioni profonde della riforma Gentile: di
quella che io chiamo il più grande atto rivoluzionario osato dal Governo
fascista in questi mesi di potere.”
Il Fascismo, nel ’23 non ancora Regime, ha bisogno dell’appoggio delle
classi medio-alte per rimanere in sella e consolidare il potere: è il secondo
tempo della
Rivoluzione Fascista, il periodo di normalizzazione e di lenta fascistizzazione
dei settori vitali dello Stato, di cui la scuola rappresenta una parte
fondamentale. In questo senso, l’opera di Gentile costituisce un rafforzamento
delle prerogative borghesi riguardanti la scuola e l’Università.
Nel volgere di pochi anni l’impianto gentiliano risulterà inadeguato
rispetto alle esigenze del Fascismo divenuto Regime totalitario. Il Capo del
Governo, specie dopo la Guerra d’Etiopia, ritiene che la riforma del 1923 sia
informata a principi borghesi e classisti, non consoni all’Italia Imperiale e
proletaria, in cui la parola d’ordine è ora Andare verso il Popolo.
A realizzare la nuova riforma viene chiamato un brillante intellettuale, il
fascista di sinistra Giuseppe Bottai. Il lungo lavoro di
revisione porterà infine alla Carta della Scuola del 1939,summa ideologica del rapporto
scuola-stato-regime, approvata dal Gran Consiglio, ma rimasta lettera morta per
lo scoppio della Guerra Mondiale l’anno successivo.
(Di Antonio Martino – Da “L’intellettuale dissidente”)