giovedì 5 febbraio 2015

Gentile e la filosofia al potere: la riforma scolastica del 1923

Fin dall’antichità l’educazione della gioventù aveva rappresentato un argomento fondamentale nell’organizzazione dello Stato e della comunità politica: il ruolo centrale dell’insegnamento era già stato analizzato brillantemente sia da Platone nella Repubblica che da Aristotele nella Politica. Entrambi giungevano alla conclusione che la scuola non poteva che essere pubblica, perché solo in tal modo si sarebbe potuto consolidare e diffondere la coscienza di comunità e informare ai principi della polis le nuove generazioni. Se Platone aveva soltanto potuto immaginare idealmente lo Stato dei Filosofi, a Giovanni Gentile, duemila anni dopo, si presentò invece l’occasione concreta di poter, da filosofo, riformare profondamente la scuola Italiana. Nominato Ministro della Pubblica Istruzione all’indomani della Marcia su Roma, Gentile si mise subito all’opera per plasmare il modello educativo italiano secondo le proprie teorie: il frutto di tale lavoro è la celebre “Riforma Gentile”, definita da Mussolini, ex maestro elementare, “La più Fascista delle Riforme”.

La scuola Fascista innalza l’obbligo scolastico a 14 anni ed istituisce la scuola elementare a ciclo unico. Una volta terminata la prima fase di studi, l’allievo si trova davanti a quattro strade: il ginnasio, quinquennale, che dava l’accesso ai Licei, unica via per l’Università; l’istituto tecnico ; l’istituto magistrale, destinato alla preparazione dei maestri di scuola elementare; la scuola complementare di avviamento professionale, triennale, al termine della quale non era possibile iscriversi ad alcun’altra scuola. Dal punto di vista delle materie, Gentile introduce lo studio della religione Cattolica nella scuola primaria, poiché utile a creare un minimum di spirito intellettuale nelle masse popolari. Nei Licei, invece, compare la Filosofia, affinché le nuove leve della futura classe dirigente fossero dotate di un elevato bagaglio culturale e ideale. Il concetto fondante l’azione Gentiliana è quello secondo cui gli studi, specie quelli secondari, devono essere “Aristocratici, nell’ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori [...] cui l’ingegno destina di fatto, o il censo e l’affetto delle famiglie pretendono destinare al culto de’ più alti ideali umani. La limitazione delle iscrizioni è propria delle scuole di cultura e risponde alla necessità di mantenere alto il Livello di dette scuole chiudendole ai deboli e agli incapaci” E’ quindi una scuola classista, borghese, censitaria, che preclude alla gran parte del popolo l’accesso all’istruzione secondaria ed all’Università, quella partorita dalla mente del filosofo siciliano. Ma è ciò che Mussolini, nel 1923, vuole:
Sono cinquant’anni che si dice che la scuola va riformata e che la si critica in tutti i modi: si è gridato in mille toni che bisogna rendere finalmente la scuola seria, formativa dei caratteri e degli uomini. Il Governo fascista ha bisogno della classe dirigente.. Non posso improvvisare i funzionari in tutta l’amministrazione dello Stato: tutto ciò deve venirmi a grado a grado, dalle Università [...] Non è più il tempo in cui si poteva essere impreparati. Appunto perché siamo poveri ed ultimi arrivati, dobbiamo armare potentemente la nostra intelligenza. È quindi necessario che gli studenti studino sul serio se si vuol fare l’Italia nuova. Ecco le ragioni profonde della riforma Gentile: di quella che io chiamo il più grande atto rivoluzionario osato dal Governo fascista in questi mesi di potere.”
Il Fascismo, nel ’23 non ancora Regime, ha bisogno dell’appoggio delle classi medio-alte per rimanere in sella e consolidare il potere: è il secondo tempo della Rivoluzione Fascista, il periodo di normalizzazione e di lenta fascistizzazione dei settori vitali dello Stato, di cui la scuola rappresenta una parte fondamentale. In questo senso, l’opera di Gentile costituisce un rafforzamento delle prerogative borghesi riguardanti la scuola e l’Università.
Nel volgere di pochi anni l’impianto gentiliano risulterà inadeguato rispetto alle esigenze del Fascismo divenuto Regime totalitario. Il Capo del Governo, specie dopo la Guerra d’Etiopia, ritiene che la riforma del 1923 sia informata a principi borghesi e classisti, non consoni all’Italia Imperiale e proletaria, in cui la parola d’ordine è ora Andare verso il Popolo. A realizzare la nuova riforma viene chiamato un brillante intellettuale, il fascista di sinistra Giuseppe Bottai. Il lungo lavoro di revisione porterà infine alla Carta della Scuola del 1939,summa ideologica del rapporto scuola-stato-regime, approvata dal Gran Consiglio, ma rimasta lettera morta per lo scoppio della Guerra Mondiale l’anno successivo.

(Di Antonio Martino – Da “L’intellettuale dissidente”)