mercoledì 4 febbraio 2015

Poesia e comunicazione di massa – Un funerale illustre

Per comprendere appieno il rapporto che può intercorrere tra la poesia e gli esseri umani in una società della comunicazione di massa bisogna prima definire questi due, grandi elementi. La poesia- lo sappiamo- è la forma d’arte probabilmente più elevata che l’uomo abbia mai prodotto. È quell’espressione artistica per cui forma e contenuto viaggiano all’unisono, creando una sinfonia armoniosa tra il mezzo- le parole e i versi- e il messaggio. Mentre la comunicazione di massa, ovvero la rivoluzione tecnologica che ha reso possibili comunicazioni rapidissime anche a distanze enormi, è probabilmente l’elemento più rivoluzionario della storia dell’umanità, insieme all’invenzione della scrittura. Se con la scrittura, infatti, si è passati da un obbligo di comunicazione orale e ristretta nel tempo ad una comunicazione longeva, e per questo ad una dilatazione spazio-temporale, oggi siamo passati ad una contrazione impressionante della dimensione spazio-tempo, per cui non importa dove ci troviamo: ci basta un click per avere le stesse identiche notizie, informazioni, comunicazioni e quant’altro avremmo se fossimo all’estremità opposta del mondo.

Detto questo, non si può non parlare di una certa caratteristica della società a comunicazione di massa. Se da una parte questa immensa (e gratuita) fruibilità di comunicazione può apparire rassicurante, dall’altra essa ha un effetto incredibilmente negativo su taluni aspetti della vita. Oltre alle ben note problematiche legate all’inquinamento elettromagnetico, ad esempio, o alla costante reperibilità in vari ambiti (lavorativo, familiare ecc ecc), il tasso di distrazione dell’individuo ha raggiunto soglie davvero preoccupanti. Se oggi, ad esempio, ci mettessimo in una stanza, da soli, a leggere un libro, non saremmo soggetti- come qualche decina d’anni fa- alla sola, eventuale distrazione del telefono fisso che squilla una volta ogni ora, e della tv che- con facilità- si spegne; saremmo piuttosto bombardati dagli sms, dalle telefonate al cellulare, dalle chat di Facebook e Whatsapp, dai tweet di questo e quell’amico… e ciò non solo non ci consente di raggiungere un soddisfacente livello di concentrazione, ma amplifica ulteriormente un altro fenomeno, che è la contrazione temporale. Poiché le informazioni viaggiano velocemente, tutta la nostra vita deve accelerare: ed ecco dunque i giornali con articoli semplici e brevi, gli annunci pubblicitari imperanti, il crollo delle vendite dei libri e la concentrazione di mille funzionalità all’interno -ad esempio- di un unico smartphone.
E come è possibile conciliare quest’estrema frenesia alla lettura della poesia? Com’è addirittura pensabile che oggi vi sia ancora spazio per la poesia? E in effetti non c’è.
Meglio: c’è, ma è nascosto. Nel senso che oggi la poesia ha assunto una funzione esclusivamente evasiva. Come già avevano compreso i Simbolisti, in una società simile non c’è più spazio per la concentrazione, per lo sforzo intellettivo d’interpretazione e di comprensione (peraltro non retribuito!) necessario alla fruizione poetica tout court. Si può pensare alla poesia solo come mezzo per rilassarsi prima di dormire, per staccare la spina quei pochi minuti necessari prima di dormire e prepararsi ad un’altra intensa giornata di lavoro; un mezzo, peraltro, fruito da pochissime persone.
E da ciò non deriva solamente un desolante imbarbarimento della società, che più non sa cogliere la musicalità e la profondità del verso, ma si crea anche un ostacolo ai pochi lettori di poesia sopravvissuti. In un’ottica di mercato letterario, nessun poeta nuovo viene più pubblicato, e dunque fatto conoscere al grande pubblico. Ciò significa che chi legge poesie non ha più modo di trovare in quei versi la descrizione della propria società (salvo rarissimi casi di poeti ancora oggi attuali); non ha più modo di guardarsi allo specchio, in un certo modo, né di potersi migliorare o conoscersi meglio.
Ecco che la comunicazione di massa lascia sul campo un altro “avversario” illustre, in una sorta di progetto che punta alla trasformazione totale dell’umanità attraverso l’eliminazione di punti cardine della sua cultura e la loro tempestiva sostituzione.  L’alienazione della società a mezzo comunicazione continua così imperterrita, mentre nessuno, lì fuori, sembra accorgersene, tutti distratti come sono.   
(Di Gabriele Cruciata - Da "L'intellettuale dissidente")