martedì 17 marzo 2015

"L'era del post-umano", grido di resistenza nel silenzio buonista

Post-umano, gender, tecnica: questi sono solo alcuni dei punti trattati ed analizzati nella conferenza tenutasi lo scorso sabato al Teatro Umberto a Roma. Un evento che, più che un appuntamento culturale, è stato un vero e proprio grido di resistenza contro i dogmi sempre più oppressivi dettati dalla legge del “politically correct.” Una serie di interventi capaci di focalizzare l’attenzione su un problema ormai primario della società turbo capitalista, nella quale ogni forma di identità e di autodeterminazione viene brutalmente ostracizzata.



Ad aprire il convegno, davanti ad un teatro pressoché colmo, il professore Aldo Becchi, capace di evidenziare la disumanità delle moderne procedure e tecniche biologiche: l’avvento della fecondazione artificiale, di fenomeni come il transessualismo, l’alienazione da ogni tipo di predisposizione umana sta conducendo la società ad un’epoca androgina degna delle migliori (o peggiori) distopie. Inevitabile, quindi, sottolineare e rimarcare la necessaria appartenenza dell’essere umano in quanto uomo o donna dal momento che ad essere in gioco è l’idea stessa di uomo, ormai sostituita dall’asessuato e neutro concetto di essere vivente.

L’intervento più puntuale ed incisivo è arrivato, neanche a dirlo, dalla voce di Alain de Benoist: l’intellettuale francese ha tracciato un’ideologica parabola dell’ideologia gender, riconducibile all’affermarsi dei movimenti femministi egualitari. Un concetto che si è sviluppato e modernizzato nel tempo, sino a raggiungere l’attuale forma dei suoi sostenitori attuali: ad oggi, l’idea del genere sostiene la necessità di annullare ogni differenza innata tra uomo e donna, arrivando ad alienare qualsiasi concetto di identità.
L’autore de “I demoni del male” ha focalizzato l’attenzione su un punto cardine dell’assurdità del gender: ad essere in gioco non è la tendenza sessuale di un essere umano ma, incredibilmente, il suo essere maschio o femmina in quanto tale. Nell’epoca in cui molte scuole trattano gli alunni come meri elementi asessuati, nella società in cui anche il linguaggio viene storpiato nel nome del più inquietante egualitarismo, risulta quindi necessario sostenere la Natura umana nella sua forma più primordiale: la dicotomia uomo-donna, minacciata da teorici e sostenitori del neoconcetto di “
mêmeté”, un’identicità totale ed indistinta.

Perché questa differenziazione va al di là di ogni orientamento sessuale o ideologico: si tratta di difendere l’identità umana da una assurda alienazione che mira a creare l’uguale nel nome del diverso.

Un altro interessante spunto di riflessione è stato dato dalla ricercatrice Giuseppina Barcellona, che ha incentrato la sua analisi su un aspetto più strettamente giurisdizionale. La società del XX secolo, infatti, ha vissuto un cambio radicale dal punto di vista giuridico ed istituzionale: le costituzioni dei Paesi “liberi” sono state sempre di più improntate sui diritti a discapito dei poteri, mettendo al primo posto nella classifica decisionale i valori. Ma quali sono i valori della civiltà moderna? Il buonismo, l’appiattimento morale ed ideologico, l’uguaglianza forzata che va generando popoli di automi? La sovranità ideologica va sfumando parallelamente a quella politico-economica, gettando senza pietà sotto il rullo compressore del pensiero unico, che tutto livella e rende standardizzato.

A rafforzare l’asse franco-italiana della lotta ideologica è stato Eric Zemmour, altra voce di spicco nel coro di un convegno dal respiro fortemente europeo.
Il giornalista de “Le Figaro” ha infatti fornito una tagliente ed innovativa analisi storico-politica, denunciando un progressivo progresso di femminilizzazione della società occidentale a discapito della virilità, ormai completamente soggiogata dal potere omosessualista. Zemmour ha lanciato una sferzante provocazione, ricollegandosi alla tradizione storica monarchica: nella società contemporanea, infatti, la reggenza è gestita dalla madre, in un regno nel quale il figlio diviene il re.” In quest’ottica la figura paterna e patriarcale perde ogni tipo di importanza e le figure maschili si riducono a “seconde madri”, privati della loro essere uomini da un concetto di famiglia che trascende spietatamente quello più tradizionale.
Il punto più controverso e stuzzicante della visione del giornalista transalpino è arrivato, tuttavia, nella visione della Rivoluzione francese: nell’insurrezione del 1789, infatti, Zemmour individua una rivolta contro la femminilizzazione dell’aristocrazia francese, inflaccidita dall’eleganza effeminata della corte reale.
Un’analisi curiosa, probabilmente sfruttata a sostegno della tesi senza tener conto dei risvolti politici che si nascondono sotto un evento cardinale nell’evoluzione storica dell’Europa.

Politica, giuridica, sociologia: ogni campo è stato toccato con mano, tranne quello filosofico. E allora ecco l’intervento di Diego Fusaro che, servendosi di numerose citazioni riprese da autori come Hegel e Christoper Laches, ha delineato le folli caratteristiche dell’ideologia gender: una teoria che, adattandosi perfettamente al capitalismo dilagante, mira a creare un nuovo modello antropologico, nel quale la Natura umana viene privata di ogni ruolo e sostituita da una macabra revisione dell’educazione positiva:  un genitore (non mamma e papà, chiaro, ma genitori 1 e 2) potrebbe così educare a piacimento il proprio figlio, decidendone il sesso facendosi beffe di ogni processo naturale.
Vista così, il “Mondo nuovo” narrato da Aldous Huxley appare tristemente, paurosamente prossimo a noi ed è compito di chi ancora crede ci sia un’alternativa quello di combattere per evitare questa follia.

A concludere la conferenza è stata la deputata pentastellata Tiziana Ciprini a cui, tuttavia, chi scrive non dedicherà troppo spazio. Non se la prenda l’esponente grillina, ma venire dopo voci di un calibro simile è difficile, impossibile se si rappresenta un partito che ben poco ha a che vedere con certi tipi di battaglie.
Un intervento interessante, certo, ma per distacco inferiore agli intellettuali che l’hanno preceduta.

Tirando le somme, il messaggio veicolato da questo tipo di convegno è chiaro e preciso, ancor di più dopo un confronto culturale di così grande levatura. L’ideologia gender e il post-umanesimo stanno penetrando inesorabilmente nella nostra società, agevolati dalle centinaia di alfieri del buonismo da salotto pronti ad etichettare e a tacciare chiunque si opponga a questa pratica come “omofobo” o, giusto per essere attuali e contemporanei, “fascista”.  Nasce così il reato d’opinione, roba degna della psicopolizia di orwelliana memoria.
Il grido scaturito dall’evento è forte, ma l’eco deve essere propagata: è necessario attivarsi e non restare a guardare di fronte a questo scempio, di fronte a manovre atte a distruggere l’essenza atavica dell’uomo per sostituirlo con una figura impersonale ed insignificante vestita coi colori della pace. Non c’è più tempo, agire è un dovere, ignorare il problema è collaborare. Ce lo chiede l’Europa, ma non quella dei tecnocrati: la nostra Terra reclama la sua identità umana, aliena allo storpiamento post-umanista.
Perché combattere è un destino.