(Di Fabio Calabrese – da “EreticaMente”)
Pare proprio che questo 2015 sia un’annata di
ricorrenze: il 25 aprile di quest’anno cadono i settant’anni dalla conclusione
– sfortunata e tristissima per l’Italia – della seconda guerra mondiale, e un
mese più tardi, il 24 maggio, il centenario del nostro intervento nel primo
conflitto, la Grande Guerra, come fu chiamata quando non s’immaginava che in
meno di una generazione ne sarebbe seguita un’altra di ancor più grandi
dimensioni e più catastrofica.
Settant’anni di sedicente repubblica democratica,
in realtà di proconsolato dipendente da interessi stranieri, hanno gravemente
compromesso l’immagine dell’Italia nel mondo, non hanno soltanto gravemente
danneggiato le posizioni italiane in ogni settore, ci hanno anche coperti di
vergogna e di ridicolo a livello planetario.
Una delle cose che senz’altro suscitano l’ilarità
nei nostri confronti fuori dai nostri confini, è questa celebrazione, questa
“festa” del 25 aprile, che non è soltanto la materializzazione della peggiore e
più squallida retorica concepibile. Io credo che il caso italiano sia veramente
unico a livello mondiale e inedito nella storia, di una nazione che celebra una
sconfitta, e una sconfitta pesante quale fu quella che subimmo nel secondo
macello planetario, come se fosse stata una vittoria. Ma come volete che gli
stranieri ci rispettino quando siamo noi per primi, e ormai da quattordici
lustri, a tirarci lo sterco addosso?
In realtà una simile bizzarria non è per nulla
inspiegabile, perché il 25 aprile non è per nulla una “festa” nazionale, ma
celebra la vittoria di una parte sull’altra della guerra civile che fu
parallela al conflitto internazionale sul nostro territorio, “festa” non della
nazione ma della fazione. Fazione, va detto, che ottenne la sua “vittoria” a
poco prezzo, approfittando del fatto che l’Italia e chi realmente la difendeva,
furono stritolati dall’avanzare di un nemico che vantava un’imponente superiorità
di mezzi. Fazione che è quella anti-nazionale, quella “rossa” che da noi
disgraziatamente gode ancora di una credibilità che ha perso quasi dovunque,
ispirata a un’utopia mortifera che, come si è ben visto negli eventi del
1989-91 con la caduta del muro di Berlino, con la liquidazione dei regimi
comunisti dell’Europa orientale e infine della stessa Unione Sovietica, i
popoli che l’hanno subita, hanno immediatamente defenestrato per le vie brevi
appena è stata data loro la possibilità di farlo.
In tempi recenti, man mano che gli ambienti della
“destra neofascista” sono diventati sempre più “di destra” e sempre meno
“neofascisti” e hanno perso parecchio non solo in termini di consenso
elettorale ma di spina dorsale, hanno sempre più spesso avanzato la proposta di
trasformare il 25 aprile in una “festa della riconciliazione nazionale”,
proposta che gli ambienti antifascisti hanno sempre “sdegnosamente” respinto
(naturalmente, si è sempre trattato di uno sdegno simulato, poiché per provare
realmente sdegno occorre possedere una dignità). Non c’è niente da fare, il 25
aprile è e rimane la festa della fazione, anche se capace occasionalmente di
travestirsi da nazione. L’unica cosa da fare per far recuperare un po’ di
dignità a questa sciagurata Italia, sarebbe al riguardo quella di abolire
questa festività immonda.
Il problema è quello che è stato (pudicamente)
chiamato “della memoria divisa”. Continuano a esserci due parti di Italia che
interpretano la storia recente in maniera opposta e ne abbiamo avuto un esempio
tre anni fa col rifiuto di ricordare gli eroi di Nikolaewka e di El Alamein,
caduti della “guerra fascista”, e tempi infelici attendono un Paese che
dimentica i suoi eroi ed eleva al rango di eroi traditori e rinnegati quali
furono i “resistenti”.
Per far comprendere l’esatta portata delle cose,
soprattutto a beneficio dei più giovani, sarà bene spiegare con chiarezza cosa
fu la seconda guerra mondiale e come vi fummo coinvolti, anche perché le
versioni ufficiali propagandate dai media, dai libri di testo scolastici e –
sempre a scuola – dai docenti di sinistra, sono perlopiù false e inattendibili,
manipolate per creare consenso attorno al sistema di potere che da settant’anni
abbiamo la (s)ventura di subire.
La vulgata canonica ufficiale attribuisce la responsabilità
dello scoppio della seconda guerra mondiale al fascismo, ai fascismi, in
particolare quello nazionalsocialista, ai Tedeschi e forse in definitiva a un
solo uomo: Adolf Hitler. Ora tutto questo è falso, non è altro che una
mistificazione che è l’esatto contrario della realtà.
Coloro che hanno voluto, programmato, provocato la
seconda guerra mondiale, hanno attirato la Germania hitleriana in una trappola,
costringendola ad agire attaccando i due Paesi slavi, prima la Cecoslovacchia,
poi la Polonia dove le minoranze tedesche rimaste entro i loro confini a causa
del trattato di Versailles, erano oggetto di durissime persecuzioni.
E’ diverso il caso dell’Austria. Essa, una
repubblichetta formata dalle terre tedesche che avevano fatto parte dell’impero
asburgico, reclamava l’annessione alla Germania dal 1918. Qui era nato lo
stesso Hitler, qui il nazionalsocialismo era più diffuso e sentito che nel
Reich tedesco, qui le truppe della Wehrmarcht entrarono senza sparare un colpo,
accolte dagli applausi e dai festeggiamenti di ali di folla festante.
Sicuramente, i regimi cecoslovacco e polacco furono
incitati a perseguitare le minoranze tedesche da chi voleva provocare
l’intervento della Germania nazionalsocialista e trascinarla in un nuovo
conflitto mondiale, colpevole di essersi rimessa in piedi troppo presto dopo le
condizioni umilianti imposte a Versailles e la crisi del 1929. La seconda
guerra mondiale non è stata che il secondo tempo del conflitto iniziato, o
meglio entrato nella sua fase esplosiva nel 1914, e dietro il quale si legge la
tendenza della massoneria e dell’alta finanza internazionale a imporre il
proprio potere planetario distruggendo le élite e l’ordine tradizionale
dell’Europa, un’unica mano che si scorge già dietro le rivoluzioni “liberali”
dell’ottocento, e a partire dalla rivoluzione francese del 1789.
Nel maggio 1940, dopo il crollo della Polonia e con
la Francia ormai prossima alla resa, Hitler fermò le divisioni corazzate ormai
che stavano per annientare il contingente britannico intrappolato nella sacca
di Dunkerque. Era la mano tesa di chi voleva la pace, dopo essere stato
provocato e trascinato nel conflitto.
Il grave errore di Hitler fu quello di pensare che
i dirigenti britannici avessero a cuore il benessere del popolo inglese come
lui aveva a cuore quello del popolo tedesco, invece di essere agenti o
strumenti di una cospirazione planetaria pronta ad annientare il popolo inglese
come quello tedesco o chiunque, pur di travolgere l’ordine tradizionale europeo
e assicurare il dominio della plutocrazia mondiale.
In mezzo a tante menzogne che sono ormai divenute da settant’anni “la
verità” ufficiale, occorre cercare di ristabilire la verità autentica anche
sulla partecipazione italiana a questo conflitto. Uno dei nostri migliori storici
“non convenzionali”, Antonino Trizzino, scovò un documento dell’ammiragliato
britannico, che riporta all’inizio del suo libro Navi e poltrone, in cui si richiede una grossa
commessa di siluri aerei in vista del conflitto ormai imminente con l’Italia,
nel quale si prevedeva il teatro aeronavale avrebbe avuto un ruolo
determinante, ma la cosa sorprendente è la data di questo documento, al punto che
lo stesso Trizzino pensa a un errore: 1938. Vale a dire che nello stesso
momento in cui Francia e Inghilterra chiedevano la mediazione di Mussolini per
risolvere la crisi cecoslovacca, mediazione che portò all’accordo di Monaco, la
Gran Bretagna preparava la guerra contro l’Italia, il coltello da piantarci
nella schiena.
Del resto, basta pensare a quell’incredibile farsa
che furono le reazioni franco-britanniche alla campagna di Etiopia, le sanzioni
e tutto il resto. Ma come? Costoro avevano imperi coloniali estesi nel loro
insieme a più di metà del globo terrestre e trovavano intollerabile che
l’Italia sottomettesse l’Etiopia? Per loro era così essenziale che gli Etiopi
godessero di quella indipendenza che negavano senza alcuno scrupolo ai popoli
da loro assoggettati?
C’è un piccolo particolare che di solito non viene
considerato: tutti i rifornimenti italiani diretti in Africa orientale dovevano
necessariamente passare per Suez, che era in mani inglesi; sarebbe bastato loro
chiudere il transito per il canale di Suez alle navi italiane per renderci
impossibile la conquista dell’Etiopia. No, SI VOLEVA che prendessimo l’Etiopia,
in modo da avere il pretesto per isolarci internazionalmente, non lasciarci
alternative all’alleanza con la Germania e distruggere noi e i Tedeschi nella
guerra che andavano preparando.
Un’altra cartina di tornasole molto rivelatrice è
rappresentata dalla guerra civile spagnola. Tutte le simpatie, tutti gli aiuti
da parte franco-inglese-americana andarono chiaramente alla parte “repubblicana”
cioè comunista. E’ credibile che costoro sottovalutassero così gravemente il
pericolo insito nel trovarsi con due stalinismi convergenti dal lato orientale
e da quello occidentale del nostro continente?
O piuttosto la verità è un’altra: il comunismo era
già da allora incluso nella coalizione destinata a stritolare “i fascismi” e
l’Europa. Della ben nota ferocia del regime staliniano, delle sofferenze del
popolo sovietico, della privazione della libertà e dei diritti umani più
elementari, ai “campioni della democrazia” non fregava nulla!
Ci sono dei retroscena della nostra partecipazione
alla seconda guerra mondiale, mai adeguatamente approfonditi, che ci raccontano
una storia molto diversa da quella consacrata dalle versioni ufficiali. A
volere la nostra partecipazione al conflitto nel giugno 1940, che i Tedeschi
avevano sconsigliato giudicando impreparate le nostre forze armate, furono
soprattutto la monarchia e gli alti comandi militari, che moltiplicarono le
pressioni su Mussolini, prendendo a pretesto il collasso militare francese, che
poteva generare l’illusione che il conflitto fosse prossimo a concludersi.
L’Italia in quel momento era nelle condizioni
peggiori possibili: al cronico ritardo industriale e tecnologico rispetto alla
Germania, alla Francia, all’Inghilterra agli Stati Uniti, si sommava il fatto
che ci trovavamo con gli arsenali vuoti, avendo da poco sopportato ben due
conflitti, la guerra d’Etiopia e quella di Spagna, che Franco vinse grazie
soprattutto all’aiuto italiano, ma le condizioni di impreparazione delle nostre
forze armate furono ben occultate a Mussolini, a cui furono fatte credere cose
molto diverse dalla situazione reale, in modo che prendesse la decisione fatale
sulla base di informazioni errate.
La verità che emerge è sconcertante, eppure è
incontestabile: a volere la guerra furono la monarchia e gli alti gradi
militari a essa legati, e costoro perseguirono scientemente la sconfitta. I
legami di casa Savoia con la massoneria internazionale non erano mai venuti
meno, e ora la sconfitta militare appariva il mezzo più idoneo per sbarazzarsi
del fascismo, ormai visto come un ostacolo ai disegni massonici di dominio
planetario.
Nei suoi libri, soprattutto in uno dal titolo estremamente esplicito, Gli amici dei nemici, Antonino Trizzino ha raccolto un
dossier impressionante di cattivo impiego delle nostre forze armate, di
“errori” tattici e strategici, di sabotaggi, di informazioni passate al nemico.
Era uno sporco, sporchissimo gioco sulla pelle dei nostri combattenti e della popolazione
civile, sempre più coinvolta nel conflitto.
Nonostante l’indiscutibile valore dei nostri
combattenti, si pensi alla Folgore a El Alamein, il fronte nord-africano crollò
soprattutto per la penuria dei rifornimenti dovuta al fatto che i nostri
convogli furono mandati senza scorta ad attraversare un mare dominato dalle
flotte britanniche, mentre le corazzate e gli incrociatori che li avrebbero
dovuti difendere rimanevano alla fonda, e i nostri marinai pagarono uno
spropositato tributo di sangue del tutto inutile.
Di disastro in disastro, si arrivò all’invasione
della Sicilia poi dell’Italia peninsulare nel 1943.
La capitolazione della Sicilia portò alla
tempestosa seduta del Gran Consiglio del fascismo del 25 luglio, che si
concluse con la sfiducia a Mussolini.
L’antifascismo, va detto, soprattutto il martellamento
mediatico antifascista postbellico che ci assorda da settant’anni, non è solo
in malafede, è anche meschino e stupido. Ci si è voluto dare a intendere che il
vistoso dimagrimento che allora Mussolini cominciava a manifestare dipendesse
dal fatto che egli fosse in qualche modo consustanziale al potere e che si
andasse contraendo anche fisicamente man mano che il suo potere diminuiva, una
spiegazione, come si vede, degna di minorati mentali. La realtà ovvia è
esattamente opposta; furono i problemi di salute da cui il duce cominciava a
essere afflitto, che verosimilmente gli impedirono di predisporre le misure per
cautelarsi dai nemici del fascismo, dai nemici interni dell’Italia, oltre che
di seguire l’evolversi della situazione strategica come sarebbe stato
opportuno. Da cosa fosse affetto, precisamente non si sa, ma si sono ipotizzati
un’ulcera o un tumore allo stomaco o all’intestino.
Per gli antifascisti è sempre stato e continua a
essere motivo di imbarazzo il modo “parlamentare” in cui si svolse la caduta
del fascismo. Dopo aver ricevuto la sfiducia del Gran Consiglio, Mussolini si
recò dal re a presentare le proprie dimissioni come un qualsiasi presidente del
Consiglio; è questo il comportamento di un “dittatore”, di un “tiranno”? Di
certo, è il comportamento di un uomo dalla coscienza pulita.
E’ falso che all’uscita dal quirinale Mussolini sia
stato “arrestato”; in realtà fu rapito con un atto che non aveva nessuna
parvenza di legalità, e portato via in incognito su di un’ambulanza. Questo sequestro
di persona del tutto illegale dimostra che il re e gli altri congiurati del 25
luglio temevano la reazione dei fascisti e la reazione popolare, la popolarità
di cui, nonostante i rovesci bellici, Mussolini ancora godeva.
Una domanda tuttora senza risposta è se, e fino a
che punto Mussolini avesse avvertito il clima di cospirazione da basso impero
che gli si stava addensando intorno. E’ tipica delle persone oneste, leali,
lineari, l’incapacità di cogliere la tortuosità e la malafede altrui. Le sue parole:
“Il tradito può anche essere un ingenuo, ma il traditore è sempre un infame”,
si attagliavano ora alla sua situazione, ma non è da escludere che egli fosse
più consapevole di quel che si crede, di ciò che si andava preparando, c’erano
state delle avvisaglie di cui non era possibile non tenere conto, fra queste
l’assassinio di Ettore Muti, “il più bello” e certamente uno dei più stimati
gerarchi fascisti, ucciso in un agguato in stile mafioso. Può essere che egli
scegliesse di ignorare queste avvisaglie e di andare incontro al suo destino
per risparmiare all’Italia il sommarsi alla sconfitta militare che si andava
profilando sempre più chiaramente, l’orrore della guerra civile.
In ogni caso, la figura di Mussolini campeggia come
quella di un gigante in mezzo a una torma di squallidi nani intenti a trarre
vantaggio dalle sventure della Patria.
Sfortunatamente, quella guerra civile che Mussolini
aveva cercato di evitare, e che i fascisti cercarono di evitare non reagendo al
cambiamento di regime, era dietro l’angolo.