giovedì 16 aprile 2015

Perché la Grande Guerra dà così fastidio

(Di Antonio Martino – da “L’intellettuale dissidente”)
Le iniziative per il 70esimo anniversario della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista sono innumerevoli e superano, per sforzo e importanza, quelle del Centenario della Grande Guerra. Il 2015, infatti, porta in dote due ricorrenze fondamentali per la Storia nazionale: purtroppo, però, s’è voluta privilegiare una data rispetto ad un’altra, ignorando totalmente l’ambito del conflitto mondiale. E’ possibile, a distanza di un secolo, affrontare serenamente gli aspetti della complessa vicenda bellica? Si può superare una descrizione scolastica, di maniera, ideologica, rendendo giustizia ai caduti e ai superstiti?  Evidentemente, no. Perché la Grande Guerra da così fastidio?

Una risposta univoca, ovviamente, non esiste. Crediamo però che il conflitto del 15-18 rappresenti un unicuum rispetto alla visione dell’Italia e degli Italiani che gran parte della cultura ufficiale, radical-chic, esterofila e naturalmente auto-razzista, propaganda giorno per giorno. E’ impensabile, per gli amanti del vincolo esterno, che lo straccione, miserabile, ignorante fantaccino italiano abbia resistito da solo per tre anni e mezzo  nel fango, nella neve, nelle petraie carsiche, vincendo il secolare nemico austriaco, tipico esempio di chiara serietà teutonica. Caso unico al mondo, si ricorda più facilmente, nel nostro Paese, con maggior soddisfazione  la disfatta terribile di Caporetto del 1917 che la splendida resistenza sul Piave o la trionfante vittoria finale di Vittorio Veneto dell’anno successivo. Non si nega in questa sede la tragedia delle decimazioni, dell’esercito di coscritti obbligati a morire, per carità.

Accanto, però, a questi capitoli neri stanno necessariamente le imprese e gli eroismi di chi accettò e volle fortissimamente la guerra, eternando col sangue il proprio eroismo. Oltre a d’Annunzio, esiste un segmento intero di combattenti entusiasti , pronti al sacrificio, che non si possono e non si devono ignorare. Le gesta degli Arditi, le acrobazie degli Assi del cielo e di Baracca, le imprese sui mari dei MAS di Luigi Rizzo, rendono la Grande Guerra un fenomeno degno di ricordo e di legittimo orgoglio nazionale. “La porca rogna italiana del denigramento di noi stessi”,come il Tenente Gadda definiva la tendenza nostrana all’autodenigrazione, impedisce invece la tranquilla accettazione d’un fatto: 100 anni fa, una Nazione povera, impreparata, divisa, affrontò e vinse una Guerra Mondiale, contribuendo in maniera decisiva alla sconfitta degli Imperi Centrali. Il popolo, nonostante le enorme prove a cui fu sottoposto, resistette con grande dignità, anche nei momenti più duri, a riprova d’un sentimento patriottico diffuso, forte, trasversale alle divisioni di classe.  Senza l’Italia, la Germania non sarebbe stata sconfitta dall’Intesa nel 1918; con  l’Italia, l’Austria crolla il 4 e le ostilità terminano l’11 novembre.

In un campo minato come la storia contemporanea, dunque, bisogna muoversi con cognizione e consapevolezza: non è accettabile tranciare di netto un evento così importante per lo sviluppo nazionale nella memoria collettiva. Ricordare il 25 aprile piuttosto che il 4 novembre, è un gesto che appartiene al politicamente corretto, al gretto opportunismo,  non alla Storia. Ricordare gli oltre 650mila caduti italiani, i 950mila feriti e i 5 milioni di mobilitati è un dovere e un onore per uno Stato degno del proprio passato: peccato che l’Italia, oggi, non lo sia più.