(Di Antonio Martino – da “L’intellettuale dissidente”)
Le iniziative per il 70esimo anniversario della Liberazione dell’Italia
dall’occupazione nazifascista sono innumerevoli e superano, per sforzo e
importanza, quelle del Centenario della Grande Guerra. Il 2015, infatti, porta
in dote due ricorrenze fondamentali per la Storia nazionale: purtroppo, però,
s’è voluta privilegiare una data rispetto ad un’altra, ignorando totalmente
l’ambito del conflitto mondiale. E’ possibile, a distanza di un secolo,
affrontare serenamente gli aspetti della complessa vicenda bellica? Si può
superare una descrizione scolastica, di maniera, ideologica, rendendo giustizia
ai caduti e ai superstiti? Evidentemente, no. Perché la Grande Guerra da
così fastidio?
Una risposta univoca, ovviamente, non esiste. Crediamo però che il
conflitto del 15-18 rappresenti un unicuum rispetto alla visione dell’Italia e
degli Italiani che gran parte della cultura ufficiale, radical-chic, esterofila
e naturalmente auto-razzista, propaganda giorno per giorno. E’ impensabile, per
gli amanti del vincolo esterno, che lo straccione, miserabile, ignorante
fantaccino italiano abbia resistito da solo per tre anni e mezzo nel
fango, nella neve, nelle petraie carsiche, vincendo il secolare nemico
austriaco, tipico esempio di chiara serietà teutonica. Caso unico al mondo, si
ricorda più facilmente, nel nostro Paese, con maggior soddisfazione la
disfatta terribile di Caporetto del 1917 che la splendida resistenza sul Piave
o la trionfante vittoria finale di Vittorio Veneto dell’anno successivo. Non si
nega in questa sede la tragedia delle decimazioni, dell’esercito di coscritti
obbligati a morire, per carità.
Accanto, però, a questi capitoli neri stanno necessariamente le imprese
e gli eroismi di chi accettò e volle fortissimamente la guerra, eternando col
sangue il proprio eroismo. Oltre a d’Annunzio, esiste un segmento intero di
combattenti entusiasti , pronti al sacrificio, che non si possono e non si
devono ignorare. Le gesta degli Arditi, le acrobazie degli Assi del cielo e di
Baracca, le imprese sui mari dei MAS di Luigi Rizzo, rendono la Grande Guerra
un fenomeno degno di ricordo e di legittimo orgoglio nazionale. “La
porca rogna italiana del denigramento di noi stessi”,come il Tenente
Gadda definiva la tendenza nostrana all’autodenigrazione, impedisce invece la
tranquilla accettazione d’un fatto:
100 anni fa, una Nazione povera, impreparata, divisa, affrontò e vinse una
Guerra Mondiale, contribuendo in maniera decisiva alla sconfitta degli Imperi
Centrali. Il popolo, nonostante le enorme prove a cui fu sottoposto, resistette
con grande dignità, anche nei momenti più duri, a riprova d’un sentimento
patriottico diffuso, forte, trasversale alle divisioni di classe. Senza
l’Italia, la Germania non sarebbe stata sconfitta dall’Intesa nel 1918;
con l’Italia, l’Austria crolla il 4 e le ostilità terminano l’11
novembre.
In un campo minato come la storia contemporanea, dunque, bisogna
muoversi con cognizione e consapevolezza: non è accettabile tranciare di netto
un evento così importante per lo sviluppo nazionale nella memoria collettiva.
Ricordare il 25 aprile piuttosto che il 4 novembre, è un gesto che appartiene
al politicamente corretto, al gretto opportunismo, non alla Storia.
Ricordare gli oltre 650mila caduti italiani, i 950mila feriti e i 5 milioni di
mobilitati è un dovere e un onore per uno Stato degno del proprio passato:
peccato che l’Italia, oggi, non lo sia più.