mercoledì 9 dicembre 2015

Marion Le Pen: rabbia e tradizione di Francia

di Antonio Rapisarda, su Il Tempo

È la Le Pen destinata, probabilmente, ad abbattere tutti i record. Si chiama Marion Maréchal-Le Pen ed è stata la più votata al primo turno delle elezioni Regionali in Francia, con il 40,5%, assieme alla zia Marine Le Pen che ha ottenuto qualche decimo in più nel Nord.
A un passo dalla conquista della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra (Paca) contro il gollista Estrosi, Marion potrebbe diventare la più giovane presidente di Regione di Francia dopo essere già stata il deputato dell’Assemblea nazionale con meno natali alle spalle della storia repubblicana.
Finisce qui il capitolo giovanilismo e qualsiasi tentazione di accostare la sua affermazione a un peana stile «generazione Bataclan». Perché per il resto ci troviamo di fronte alla «rivoluzionaria nella tradizione» di casa Le Pen. Così prossima all’avanzata della zia Marine eppure così distante dalla nouvelle vague del marinismo senza, però, la tentazione incapacitante del controcanto, ventisei anni dopodomani, Marion è la terza componente della dinastia politica dei Le Pen.


Il nonno Jean-Marie la teneva in braccio - bambina e biondissima - in un manifesto frontista che rappresenta l’effige della predestinazione. Non è un caso che proprio il vecchio leone, soprassedendo sul fatto che proprio Marion l’abbia sostituito come candidato nella regione-roccaforte del Sud della Francia, abbia investito sulla nipote affetto e la mancata presentazione di una lista di disturbo è da considerare come gesto di trasmissione.
La distanza, o complementarietà, con la zia e leader la si registra nel richiamo agli archetipi suscitato dalle priorità delle rispettive agende. Se Marine è sempre più a suo agio nel ruolo di Marianne - nel nome della Francia repubblicana e della laicité - a Marion calza meglio il profilo di una Giovanna D’arco nella postmodernità. Non solo perché giovanissima e identitaria come lo fu la «Pulzella d’Orleans», ma proprio in quanto rappresenta il ramo di famiglia più connesso allo genius loci della Francia profonda.
Marion si iscrive nella tradizione controrivoluzionaria francese, che è sempre stata una componente culturale del Front National forte soprattutto al Sud (e non è un caso che si sia candidata lì), ma a modo suo: se ha presentato un disegno di legge per riconoscere il genocidio vandeano, e la si è vista poi in prima fila ad opporsi al «Mariage pour tous», durante le «vivaci» manifestazioni generazionali anti-Taubira, non ha mancato di prendere posizioni eterodosse rispetto alla vulgata del Front della zia, ad esempio con la sua contrarietà alla pena di morte e il suo insistere nella scomoda denuncia sul tentativo di «grande sostituzione» nei confronti dei francesi.
Insomma, le recenti vicissitudini sviliscono ogni tentativo giornalistico di raccontare il Front National come un moloch politico, intriso di una vecchia retorica nostalgica e ipertradizionalista da una parte o con un bagaglio annacquato verso il centro e vagamente «grillino» dall’altro.
Se Marine ha allargato il consenso riuscendo a presentarsi come l’erede che non vive di luce riflessa ma cerca di reinventare l’apparato ideologico per adattarlo ai tempi, aprendo una discussione su tematiche complesse come l’omosessualità e l’aborto, è appunto Marion che pare riuscire a coniugare le due visioni, in quanto sintesi di valori saldi e non negoziabili con la freschezza di una giovane militante capace di parlare ai fedelissimi del vecchio Jean Marie tanto quanto ai nuovi potenziali elettori. Se zia Marine parla alla Francia da candidato in pectore per le Presidenziali del 2017, Marion intende investire su una generazione distante da quella rinominata Bataclan, cristallizzata senza permesso dopo le stragi del 13 novembre.
Da parte sua non crede che la reazione all’attacco jihadista e nichilista sia «ballare di più». Ai suoi coetanei, vittime dell’inquietudine, non a caso ha detto: «Ci hanno venduto il paradiso multiculturale e ora ci svegliamo all’inferno». Marion preferisce rappresentare, insomma, quella generazione che ha compreso l’importanza della difesa del proprio stile di vita declinandola come battaglia identitaria, rivendicando il ruolo stesso della religione e dei diritti non negoziabili davanti a una Francia a rischio «sottomissione». Un pensiero forte, il suo, su un viso d’angelo.