(Da “Il
primato nazionale”)
La presente
intervista a Dominique
Venner, finora inedita in Italia, è stata pubblicata in
appendice al saggio di Julien Langella, La jeunesse au pouvoir (Editions du Rubicon, Paris 2015).
Realizzata nel marzo 2013, è verosimilmente una delle ultime interviste
concesse dall’autore, che come sappiamo si darà volontariamente la morte il 21
maggio dello stesso anno. Ne pubblichiamo qui la traduzione con il consenso
dell’autore e dell’editore (IPN).
Lei ha evocato
il suo impegno giovanile a più riprese. Può dirci a quale età si è impegnato in
politica, quali erano le sue motivazioni e le lezioni che ne ha tratto?
A
15 anni, nel 1950, con un compagno di liceo decisi di arruolarmi nella Legione
Straniera per cercare l’avventura. Era l’epoca della guerra
d’Indocina. La mattina della partenza, alla Gare de Lyon di Parigi, mi sono
ritrovato da solo. Il mio “complice” si era tirato fuori. Quel giorno ho capito
lo spazio infinito che separa la parola e l’azione, le promesse e l’impegno
mantenuto. Peraltro non solo il mio
“complice” aveva rifiutare di compiere il grande passo, ma aveva anche
raccontato tutto alle autorità del liceo. Sono dunque stato “pizzicato” molto
presto dalla polizia. Ho parlato di tutto ciò in Le
Cœur rebelle. Dopo questa prima avventura mi hanno rinchiuso in un
pensionato della periferia parigina.
Un sabato ho
coinvolto qualche compagno per saccheggiare la sede locale del
Partito comunista che
si abbandonava a una propaganda insultante contro i nostri soldati in Indocina.
Fu un bello scandalo, ma non era che l’inizio.
Il mio vero
impegno politico è cominciato nel 1956, al mio ritorno dall’Algeria, per la
quale ero partito come volontario nel 1954. Avevo 21 anni. Per riassumere le
cose all’estremo, avevo capito che la sorte degli europei d’Algeria – con i
quali mi sentivo solidale – non si giocava fra le dune del deserto ma a
Parigi, sul terreno politico. Un terreno che non conoscevo e che ho scoperto
con una intensità passionale osservando il nemico (in quel tempo ho molto letto
Lenin) e pagandone un prezzo salato: attivismo, scontri di strada, complotti,
prigione …
Più
tardi, molto più tardi, mi sono tirati fuori da ogni impegno politico. Avevo
capito che non era la mia vocazione. Avevo altri compiti da svolgere.
Nonostante questo, credo agli
effetti positivi di un pensiero radicale che va al fondo delle cose. A dispetto
delle sue storture, esso favorisce la rottura con tutti i conformismi. Allo
stesso modo, credo agli effetti formatori positivi di un militantismo un po’ pericoloso.
Nella dozzina di anni che ho consacrato all’attivismo intenso, ho incrociato da
vicino o da lontano un certo numero di mediocri o di insensati, anche qualche
canaglia o degli arrivisti. Ma è sempre lì che ho incontrato gli esseri più
stimabili, i più coraggiosi e talvolta i più intelligenti che abbia mai
conosciuto nella mia vita.
Aggiungo
questo : senza il militantismo “radicale” della mia gioventù, senza le
speranze, le illusioni, le defezioni, le vigliaccherie, le bassezze, i
complotti un po’ folli, la prigione, le sconfitte, i colpi duri, ma anche senza
gli ammirabili slanci di fedeltà a cui ho assistito, senza questa esperienza
eccitante e crudele, mai sarei potuto divenire lo storico riflessivo che
sono. E l’immersione totale nell’azione, con i suoi aspetti più sordidi e più
nobili, che mi ha forgiato e mi ha fatto comprendere la storia dall’interno, al
modo di un iniziato, e non come un erudito ossessionato da insignificanze o
come spettatore idiota di apparenze.
A uno studente
che l’ha interpellata recentemente su questo argomento, lei ha risposto: “Se
prova il desiderio di una azione politica, si impegni pure, ma sapendo che la
politica ha le sue proprie regole, che non sono quelle dell’etica”. InLe siècle de
1914 lei cita una
celebre massima cinese: “Utilizza la mano di un altro per abbattere il tuo
nemico”. Ci può spiegare la sua posizione su queste due idee e perché esse sono
importanti nel contesto attuale?
Sono
due riflessioni molto differenti. Se lei rilegge attentamente i testi che cita
lo comprenderà. La prima riflessione sottolinea l’opposizione esistente tra la
pratica triviale della politica e le aspettative dei militanti innamorati
dell’ideale o dell’eroismo. Tutto nasce dalla confusione moderna tra religione
e politica, quando la politica s’è fatta religione, nel prolungamento della
Rivoluzione francese, ai tempi soprattutto del comunismo trionfante, del
fascismo e del nazionalsocialismo.
Ho sviluppato
questo concetto in maniera dettagliata nel mio libro Le
Choc de l’Histoire, capitolo “Mistica e politica”. Per dirla
altrimenti, gli eroi idealisti di Corneille o di Stendhal sono estranei alle
ambizioni ristrette e al cinismo del Principe di Machiavelli. Ma, dato che
nulla è mai semplice, Nietzsche è venuto a seminare la perturbazione
tra coloro che cercano i miraggi della volontà di potenza. “Siamo
immorali, quindi saremo come De Gaulle”, si dicono costoro guardandosi
allo specchio. Ma non è che una postura.
Quanto alla
massima cinese, ha davvero bisogno di essere commentata? “Utilizza la mano di
un altro per abbattere il tuo nemico” è una buona strategia. Come
fece Stalin con Hitlerquando favorì contro quest’ultimo
l’entrata in guerra dell’Inghilterra e dei suoi alleati nel 1939, in seguito al
patto tedesco-sovietico.
Nel suo libro Le Cœur
rebelle,
lei scrive nelle conclusioni: “Io sono della terra degli alberi e delle
foreste, delle querce e dei cinghiali, delle vigne e dei tetti spioventi, delle
epopee e delle fiabe, del solstizio d’inverno e di San Giovanni di estate”. È
una professione di fede?
È
una risposta a coloro che pretendono che l’Europa non sappia cosa essa stessa
è. È un modo per dire che cerco rifugio in me, più vicino possibile alle mie radici
e non in una lontananza che mi è estranea. Il santuario in cui vado a
raccogliermi è la foresta profonda e misteriosa delle mie origini. Il
mio libro sacro è l’Iliade così come l’Odissea, poemi fondatori e rivelatori
dell’anima europea. Questi poemi
attingono alle stesse fonti delle leggende celtiche e germaniche, di cui
manifestano in modo superiore la spiritualità implicita.
Del resto non
tiro affatto una riga sui secoli cristiani. La cattedrale di Chartres fa parte
del mio universo allo stesso titolo di Stonehenge o del Partenone. Questa
è l’eredità che occorre assumere. La storia degli europei non è semplice.
Essa è scandita di rotture al di là delle quali ci è dato di ritrovare òa
nostra memoria e la continuità della nostra tradizione primordiale. Si scopre
allora che il cristianesimo, estraneo all’Europa nelle sue origini, fu in
seguito trasfornato dall’interno dai nostri antenati romani, galli o germani.
Esso fu spesso vissuto come una trasposizione degli antichi culti.
Dietro i
santi, si continuavano a celebrare gli dei familiari senza porsi questioni. E
nei monasteri, divenuti rifugio del sapere, si ricopiavano i testi antichi per
trasmetterli senza censurarli.
In quanto
storico, cosa le ispira il termine “giovinezza”? È un concetto recente o è una
realtà effettiva? Esiste uno sguardo specificamente europeo sulla giovinezza?
Si tratta in
realtà di un concetto sociologico recente in cui si mescolano politica e
marketing. Questo concetto è in relazione con il prolungamento della vita e con
quello dell’adolescenza. Fino al XIX secolo incluso, si ignorava questa classe
d’età che noi chiamiamo giovinezza. C’era l’infanzia e, senza vera transizione,
l’età dell’azione. Nella nobiltà, i ragazzi entravano spesso nella carriera
militare a dodici anni. Età nella quale le ragazze si sposavano se aerano
nubili.
Gli esempi di
carriera precoce nei personaggi celebri non mancano. È il caso del futuro
generale e teorico militare prussiano Carl von Clausewitz.
Nella primavera del 1793, davanti Magonza, egli serviva come porta-insegna.
Aveva dodici anni. Era così piccolo, e la sua bandiera così pesante, che i
soldati lo facevano astenere dal servizio, salvo che per traversare i villaggi
in cui la brava gente applaudiva il valore nella persona di questo ragazzo. Due
giorni prima della capitolazione di Magonza, il giovane Carl montava la
guardia. Ora aveva tredici anni. Fu nominato Fähnrich (aspirante) e proseguì la campagna a
cavallo in tenuta da ufficiale.
Su un altro
livello, possiamo ricordare che Luigi XIII aveva solo quindici anni quando
decise di prendere personalmente il potere facendo assassinare Concini. Era il
1617. Le responsabilità precoci sono la migliore scuola di vita.
Secondo lei
quale grande figura storica, di ieri o di oggi, la gioventù dovrebbe prendere
come esempio?
Ho
appena citato, casualmente, due personaggi molto differenti fra loro dei tempi
passati. Potrei aggiungere due contemporanei, i due grandi Ernst, che hanno
detto molto a proposito degli impegni passionali della loro gioventù. Ernst
Von Salomon, l’autore dei Proscritti e del Questionario,
e, ovviamente, Ernst Jünger,
l’autore delle Tempeste d’acciaio,
del Diario e di tanti altri scritti. Io ho
consacrato a lui un saggio sottotitolato “Un altro destino europeo”. Dico
“altro” in paragone a quello che ci viene servito dal pensiero servile. “Un
altro”, anche perché il suo è stato autentificato dalla sua stessa vita.
Io ho
riposizionato l’itinerario di Jünger nella sua verità, al cuore delle epoche
successive che egli ha attraversato in una vita che si confonde con il XX
secolo. Bellicoso e temerario nella sua gioventù, ammiratore di Hitler
all’inizio e poi suo irriducibile avversario, non ha mai rinnegato il giovane
ufficiale eroico delle truppe d’assalto che cantava “La guerra, nostra grande
madre”, né l’intellettuale faro della “Rivoluzione conservatrice”. Ma egli fu
anche il giovane guerriero pensoso che ammirava lo schiudersi di un fiore nel
campo di morte della trincea. A differenza di Heidegger, egli aveva la certezza
che i titani della tecnica possono essere vinti, come è detto nellaTeogonia di Esiodo.
Si presenta il
maggio ’68 come esplosione legittima di una gioventù in rivolta dal
conservatorismo e dalla rigidità dell’era gollista. Condivide questa analisi?
E, più genericamente, cosa pensa della “generazione ’68” e della sua influenza
sulla società francese?
Dieci
anni separano il maggio 1958, con il ritorno al potere del generale
De Gaulle, e il maggio 1968. Il primo avvenimento è
simbolizzato dal basco rosso dei paracadutisti. Il secondo dalla parrucca di
chienlit (*). Tra le due date, dieci anni di un potere che aveva distrutto la
destra nazionale rinascente facendo l’alleanza con l’estrema sinistra
mediatizzata. Per quel che può interessare, ho raccontato questa storia nel mio
saggio De Gaulle. La grandeur et le
néant (Le Rocher,
2004).
Questo
episodio mostra a quale punto la previsione storica sia difficile e anche
quanto sia stato sopravvalutato il ruolo del celebre generale. Con molta
leggerezza, egli aveva favorito l’avvento della “generazione ’68” che stava per
lasciarlo al tappeto e la Francia con lui. Sorprendente buffoneria!
Dopo aver
trovato la sua ispirazione ideologica in Mao, questa generazione si è rivolta
senza apparente imbarazzo all’impero del dollaro che alla fine era più consono
ai suoi sogni di decostruzione infantile, di ricco edonismo e di meticciato
turistico.
Quali
differenze nota tra la gioventù della sua epoca e quella di oggi?
Quelli della
mia generazione (in realtà una piccola minoranza di questa generazione) hanno
avuto la fortuna di vivere nell’orizzonte della guerra e nella speranza di una
rivoluzione nazionalista europea. Lo dobbiamo alla guerra
d’Algeria. Che fu un orrendo incubo per le vittime, nostri
compatrioti, traditi dal loro governo e cacciati da casa loro con una
sanguinosa epurazione etnica. Ma fu anche l’occasione per un risveglio
avventuroso nella mia generazione.
La piccola
minoranza attiva che diede vita a Europe Action e alla Federazione degli studenti
nazionalisti (il Fen) era politicamente e spiritualmente orfana (contrariamente
alla vostra generazione). Coloro che ci avevano preceduto ci avevano trasmesso
poco, se non esempi di coraggio nelle avversità, il che non è poco comunque.
Ma, appartenendo a un’altra epoca, essi non potevano consegnarci le chiavi per
pensare, vivere e agire nel nostro mondo. Un mondo totalmente nuovo, nato dal
grande ripiego europeo seguente alla Seconda guerra mondiale, alla
decolonizzazione, all’egemonia americana. È per questo che dico che noi eravamo
degli orfani.
Abbiamo
dovuto inventare da soli tutto o quasi. Ho raccontato le premesse di questo
sforzo in Le Cœur rebelle. In
seguito, ho formulato delle risposte lavorando a diverse mie opere,
particolarmente a Le Siècle de 1914 per la lezione da prendere dal XX
secolo, e Histoire et tradition des
Européens per la
“reinvenzione” delle nostre fonti antiche e di una autentica visione europea
della vita. I miei editoriali sulla Nouvelle Revue d’Histoire hanno prolungato queste meditazioni.
Ho in seguito sintetizzato queste idee in una forma più accessibile in un libro
di interviste, Le Choc de l’Histoire.
Questo sforzo va inserito in un grande numero di iniziative innovative
organizzate nella stessa epoca in tanti luoghi differenti.
Il loro
insieme costituisce un giacimento inesauribile a disposizione della vostra
generazione e delle seguenti. È una differenza capitale rispetto alla mia. Noi
abbiamo fatto in modo che voi non siate orfani. Abbiamo
ridato vita al fuoco sacro delle
nostre origini, in parte spento da molto tempo. E questo fuoco ve lo abbiamo
trasmesso.
Come vede
l’avvenire della Francia e dell’Europa? È possibile fare delle previsioni?
L’avvenire
dei francesi autentici non è separabile da quello degli altri europei. Quando
parlo di Europa, metto ovviamente da parte la “cosa” di Bruxelles. Penso alla
nostra civiltà multi millenaria, alla nostra comunità dei popoli. Da questo
punto di vista, un compito essenziale incombe sulla vostra generazione e sulle
seguenti, quello di annodare legami personali dappertutto in Europa, superando
la routine e le barriere linguistiche. Zaino in spalla, come i Wandervögel, come
aveva fatto Jean Mabire, voi dovete partire per
incontrare ragazzi e ragazze della nostra grande patria europea, riscoprire i
luoghi altamente simbolici della nostra civiltà celtica, slava e germanica,
irrigata dal flusso della tradizione greca e romana!
Dopo la
catastrofe del “secolo 1914", l’Europa dei popoli è in sonno, schiacciata dal
peso della sua dismisura e delle sue divisioni fratricide, senza contare le
imprese incessanti per snaturarla. Gli europei sono oggi di fronte a sfide mortali.
Ma io sono fra coloro che pensano che le sfide siano generatrici di risvegli di
energie nuove. Dicendo questo, sono ben cosciente che io stesso non vedrò
questa risurrezione. Ma nonostante questo, di tale risveglio delle energie
europee io non dubito neanche un istante.
(*) Chienlit è
un personaggio del Carnevale di Parigi, il cui nome deriva da “chie-en-lit”,
ovvero “caga al letto”. L’espressione divenne famosa quando, dopo i primi
tumulti del ’68, De Gaulle disse ai giornalisti: “La riforma sì, il chienlit
no”, bollando di fatto le manifestazioni come una carnevalata scomposta.
L’Atelier des Beaux-arts rispose con un famoso manifesto con la caricatura
della silhouette di De Gaulle e la scritta “La Chienlit c’est lui!”.