mercoledì 20 novembre 2013

Urla inascoltate della terra ferita

Tratto da Il Corriere della sera, articolo di Gian Antonio Stella

«Ma chi doveva intervenire, la cavalleria delle giubbe blu?», si è sfogato il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli. C’è da capirlo. Centinaia di uomini che hanno lavorato giorno e notte, bagnati fradici nel fango, il fiato rotto e gli occhi gonfi di fatica per salvare più persone possibili dal diluvio che ha sconvolto la Sardegna, non meritano tutti i dubbi, le polemiche e i veleni sulla tempestività degli allarmi e dei soccorsi.

Niente giubbe blu. E onore a quei soccorritori che hanno speso ogni energia nel pantano sardo. Quando la terra avrà riassorbito le acque e le lacrime per tutti quei morti, però, si dovrà fare un bilancio. Non ne possiamo più di queste tragedie.
Certo, non è colpa del governo se piove a dirotto. Men che meno se vengono giù «440 millilitri di pioggia in 24 ore». Ma un mese fa, alla Commissione Ambiente della Camera, lo stesso Gabrielli aveva denunciato che sei Regioni non avevano neppure avviato i Cdf (Centri Funzionali Decentrati) destinati a coordinare i soccorsi in caso di bisogno. Tra queste, la Sardegna. Che dal ciclone Cleopatra ha ricevuto, dopo anni di crisi nera, una botta durissima.
Nel periodo 1900-2002, scrive il geologo Claudio Margottini nel volume in uscita su L’Italia dei disastri curato da Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise, «si sono verificati 4.016 eventi con gravi danni e ci sono state 5.202 vittime per frane e 2.640 per alluvioni». Cioè 39 frane e inondazioni gravi con 77 morti l’anno. Ai quali bisogna aggiungere i disastri successivi a Ischia, Giampilieri, Borca di Cadore, Vicenza, Genova...
Dice l’ultima risoluzione votata alla Camera poche settimane fa da tutti (tutti) i gruppi della Commissione Ambiente che «le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10% della superficie del territorio nazionale (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l’89% dei Comuni». Di più: in un Comune su cinque «sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture pubbliche sensibili come scuole e ospedali». Di più ancora: «Il 68% delle frane europee si verifica in Italia».
Sfortuna? È una tesi indifendibile. Alla fragilità naturale del territorio, già esposto come pochi altri ai terremoti, si son sommati errori e orrori. I disboscamenti selvaggi, i quartieri costruiti negli alvei, l’oblio infastidito sui disastri del passato, i rinvii di spese indispensabili (aspettiamo la carta geologica in scala 1:50.000 dal lontano 1988), il taglio progressivo dei fondi per il rischio idrogeologico: da 551 a 84 milioni tra il 2009 e il 2012. Solo 20 quest’anno. Un quarto dei soldi buttati per convertire l’ospedale militare alla Maddalena in un hotel mai aperto per il G8 mai fatto.
Una miopia fatale: i quattrini «risparmiati» prima si spendono, moltiplicati, dopo. Con l’aggiunta, intollerabile, dei lutti. Non lo dicono gli ambientalisti in sandali infradito, lo dice l’Ance: «Il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è pari a 242,5 miliardi di euro». Quanti ne avremmo risparmiati, con una saggia prevenzione? E quanti morti non avremmo pianto?
Eppure, accusa la Cgia di Mestre, i vari governi non hanno fatto che accumulare imposte «ecologiche» sull’energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti e le emissioni di anidride solforosa eccetera raccogliendo dal 1990 in qua 801 miliardi e mezzo di euro. Sapete quanti sono stati spesi davvero in interventi di risanamento per l’ambiente? Meno di sette. Lo 0,9 per cento...