martedì 23 dicembre 2014

Assolutismo vs. Relativismo

di Lorenzo Burlini.


Non è possibile fare oggi affermazione categorica, che esca appena dai comodi percorsi tracciati dal pensiero debole (o inesistente) politicamente corretto, senza che vi sia un costante coro di insipienti, o anche di gente mediamente intelligente e istruita, pronto a tacciarvi e a squalificare il vostro asserto con belanti e liquidatorie accuse come “non facciamo di tutta l’erba un fascio”, “non generalizziamo”, ecc.



La conoscenza, invece, come ci hanno insegnato da tempi lontani i filosofi e tutto il sapere che ha fondato la civiltà e la nostra identità – ormai sempre più un ricordo – si basa proprio sulla generalizzazione, il discrimine, l’ideal-tipo, la tipizzazione, il confine, il discernimento e il principio di non contraddizione aristotelico. Proprio il contrario del relativismo assoluto contro cui Benedetto XVI, autentico intellettuale oltreché umile uomo di Fede, si scagliava durante il suo pontificato, e sostenuto, consapevolmente o meno, dai più. Imposto a scuola, dai media, dai dibattiti e dalla (post)modernità senza posa, in maniera assillante e totale, tanto da essere ormai un dogma indiscusso dall’”operatore culturale” aggiornato e financo da molti preti moderni e da sedicenti “cattolici adulti” – che ai dogmi veri hanno rinunciato – il relativismo da pensiero debole è un habitus sociale e mentale inculcatoci sin dall’infanzia, come un comandamento, nonché un irrinunciabile e implicito punto di partenza per qualsiasi considerazione concernente qualsivoglia argomento, dal senso della vita e di Dio alle chiacchiere sul calcio. Siamo oggi immersi in una alienante e frustrante tirannia dell’opinione: il “secondo me”, il “ma anche”, il “dipende” dominano inconstrastati e inconstrastabili in ogni aspetto dell’esistenza. La conseguenza è che ogni forma di conoscenza e di stabilimento o almeno ricerca di verità (o di Verità) accettate da una collettività – che è poi il senso dell’identità – è preclusa sin dalle premesse e dunque inarrivabile e fuori dalla portata e dalle preoccupazioni del misero uomo contemporaneo.


Senza l’odiata e stigmatizzata generalizzazione, non è possibile stabilire pressoché nulla di univoco, accettato e riconosciuto, regnando il caos dell’indeterminatezza liquida. Se non posso generalizzare e quindi porre criteri di discernimento non posso stabilire la differenza e la diversità fra le cose, che sono criteri fondamentali per definire le stesse; né posso stabilire la benché minima legge che non sia basata sull’arbitrio del più forte o sulle precarie maggioranze o mode di un dato momento storico. Portando alle estreme conseguenze il discorso, nulla è certo e quindi conoscibile. Tutto è materia di discussione e di soggettivismo secondo tanti punti di vista, a loro volta variabili, quanti sono potenzialmente le persone sulla Terra. Il caos del “permeismo”. Non posso conoscere la diversità e quindi l’identità delle cose: che il verde è verde e non è blu (non discriminiamo i daltonici), che il maschio è maschio e la femmina è femmina, cosa sia il bene e cosa sia il male, cosa il bello e cosa il brutto, ecc. Le sfumature e le eccezioni, sempre presenti fra le polarità di qualsivoglia natura, non dovrebbero negare i poli stessi, semmai ne aumentano la ricchezza e la multiforme varietà, senza negare le categorie e l’appartenenza ad esse. Invece il pensiero odierno riduce tutto a sfumatura ed eccezione: liquame indefinito, senza confini né contorni. Esempi sono la cosiddetta arte contemporanea, così come l’architettura; oppure l’ideologia mondialista fautrice della globalizzazione: non ci sono più confini, quindi non ci sono più popoli, non ci sono più culture, etnie, identità, tradizioni: in una parola non c’è più differenza e diversità, dominando un unico modello imposto a tutti; oppure ancora l’orrida degenerazione dell’ideologia genderista, secondo la quale non ci sono più confini naturali fra maschio e femmina. L’arbitrio umano, sempre più malato, smarrito e allontanato da ogni concezione di senso e significato, è l’unico giudice incontrastato di tutto, dio di se stesso, affetto da autistico solipsismo e non più in grado di riconoscere se stesso, la propria provenienza e l’altro.


Parafrasando un sommo poeta, ci si può chiedere se sia dolce per l’uomo moderno naufragar in questo mare di relativismo e indeterminatezza, dove tutto è il contrario di tutto, dove bene e male, Dio e Satana si equivalgono, avendo egli rinunziato al sacro dono del discernimento. La risposta, per chi volesse vederla, è forse sotto i nostri occhi distratti e assuefatti da tutti gli orrori e le bestialità che devastano il mondo quotidianamente. Continuerà certamente, l’uomo contemporaneo, a stordirsi, fondersi il cervello e scappare dalla realtà, attaccato compulsivamente allo schermo di uno smartphone o sballottato da un centro commerciale all’altro dal desiderio e dal “bisogno” di adempiere alla sua funzione di consumatore. Ma ancora per quanto?