Non è possibile fare oggi affermazione
categorica, che esca appena dai comodi percorsi tracciati dal pensiero
debole (o inesistente) politicamente corretto, senza che vi sia un
costante coro di insipienti, o anche di gente mediamente intelligente e
istruita, pronto a tacciarvi e a squalificare il vostro asserto con
belanti e liquidatorie accuse come “non facciamo di tutta l’erba un
fascio”, “non generalizziamo”, ecc.
La conoscenza, invece, come ci hanno
insegnato da tempi lontani i filosofi e tutto il sapere che ha fondato
la civiltà e la nostra identità – ormai sempre più un ricordo – si basa
proprio sulla generalizzazione, il discrimine, l’ideal-tipo, la
tipizzazione, il confine, il discernimento e il principio di non
contraddizione aristotelico. Proprio il contrario del relativismo
assoluto contro cui Benedetto XVI, autentico intellettuale oltreché
umile uomo di Fede, si scagliava durante il suo pontificato, e
sostenuto, consapevolmente o meno, dai più. Imposto a scuola, dai media,
dai dibattiti e dalla (post)modernità senza posa, in maniera assillante
e totale, tanto da essere ormai un dogma indiscusso dall’”operatore
culturale” aggiornato e financo da molti preti moderni e da sedicenti
“cattolici adulti” – che ai dogmi veri hanno rinunciato – il relativismo
da pensiero debole è un habitus sociale e mentale inculcatoci
sin dall’infanzia, come un comandamento, nonché un irrinunciabile e
implicito punto di partenza per qualsiasi considerazione concernente
qualsivoglia argomento, dal senso della vita e di Dio alle chiacchiere
sul calcio. Siamo oggi immersi in una alienante e frustrante tirannia
dell’opinione: il “secondo me”, il “ma anche”, il “dipende” dominano
inconstrastati e inconstrastabili in ogni aspetto dell’esistenza. La
conseguenza è che ogni forma di conoscenza e di stabilimento o almeno
ricerca di verità (o di Verità) accettate da una collettività – che è
poi il senso dell’identità – è preclusa sin dalle premesse e dunque
inarrivabile e fuori dalla portata e dalle preoccupazioni del misero
uomo contemporaneo.
Senza l’odiata e stigmatizzata
generalizzazione, non è possibile stabilire pressoché nulla di univoco,
accettato e riconosciuto, regnando il caos dell’indeterminatezza
liquida. Se non posso generalizzare e quindi porre criteri di
discernimento non posso stabilire la differenza e la diversità fra le
cose, che sono criteri fondamentali per definire le stesse; né posso
stabilire la benché minima legge che non sia basata sull’arbitrio del
più forte o sulle precarie maggioranze o mode di un dato momento
storico. Portando alle estreme conseguenze il discorso, nulla è certo e
quindi conoscibile. Tutto è materia di discussione e di soggettivismo
secondo tanti punti di vista, a loro volta variabili, quanti sono
potenzialmente le persone sulla Terra. Il caos del “permeismo”. Non
posso conoscere la diversità e quindi l’identità delle cose: che il
verde è verde e non è blu (non discriminiamo i daltonici), che il
maschio è maschio e la femmina è femmina, cosa sia il bene e cosa sia il
male, cosa il bello e cosa il brutto, ecc. Le sfumature e le eccezioni,
sempre presenti fra le polarità di qualsivoglia natura, non dovrebbero
negare i poli stessi, semmai ne aumentano la ricchezza e la multiforme
varietà, senza negare le categorie e l’appartenenza ad esse. Invece il
pensiero odierno riduce tutto a sfumatura ed eccezione: liquame
indefinito, senza confini né contorni. Esempi sono la cosiddetta arte
contemporanea, così come l’architettura; oppure l’ideologia mondialista
fautrice della globalizzazione: non ci sono più confini, quindi non ci
sono più popoli, non ci sono più culture, etnie, identità, tradizioni:
in una parola non c’è più differenza e diversità, dominando un unico
modello imposto a tutti; oppure ancora l’orrida degenerazione
dell’ideologia genderista, secondo la quale non ci sono più confini
naturali fra maschio e femmina. L’arbitrio umano, sempre più malato,
smarrito e allontanato da ogni concezione di senso e significato, è
l’unico giudice incontrastato di tutto, dio di se stesso, affetto da
autistico solipsismo e non più in grado di riconoscere se stesso, la
propria provenienza e l’altro.
Parafrasando un sommo poeta, ci si può
chiedere se sia dolce per l’uomo moderno naufragar in questo mare di
relativismo e indeterminatezza, dove tutto è il contrario di tutto, dove
bene e male, Dio e Satana si equivalgono, avendo egli rinunziato al
sacro dono del discernimento. La risposta, per chi volesse vederla, è
forse sotto i nostri occhi distratti e assuefatti da tutti gli orrori e
le bestialità che devastano il mondo quotidianamente. Continuerà
certamente, l’uomo contemporaneo, a stordirsi, fondersi il cervello e
scappare dalla realtà, attaccato compulsivamente allo schermo di uno
smartphone o sballottato da un centro commerciale all’altro dal
desiderio e dal “bisogno” di adempiere alla sua funzione di consumatore.
Ma ancora per quanto?