
“Molte persone oggi hanno una concezione del potere
che risale al XIX secolo. Un partito politico cerca di ottenere la maggioranza
per assumere il potere. Quando è al potere, attua il suo programma. Il campione
(o la campionessa) diventa così un salvatore! Sfortunatamente, non è più questo
il modo in cui vanno le cose. Gli ex ministri che lei ha citato, e molti altri
prima di loro, non hanno smesso di constatarlo: il margine di manovra di cui
dispongono, dopo essere ‘arrivati al potere’ non ha smesso di restringersi come
la pelle di zigrino. Ciò non significa che loro sono totalmente impotenti, ma
che la loro libertà d’azione urta contro vincoli di tutti i tipi che la
limitano o l’ostacolano in maniera sempre più stretta. Il potere ha peraltro
lasciato da tempo le sue istanze tradizionali. Domandarsi dove è il vero potere
è chiedersi dove si prendono le decisioni. La grande domanda in politica è: chi
decide? ‘ E’ sovrano, ha scritto Carl Schmitt, chi decide nel caso
d’eccezione’. In poche parole, era stato detto tutto. Il potere dello Stato,
oggi, è in gran parte diventato un potere accessorio o subordinato. Coloro che
detengono il potere reale appartengono a un cenacolo al di fuori dello Stato e
anche al di fuori del territorio. Questi cenacoli contano molti nominati o
cooptati che eletti. E sono loro che decidono. E’ una delle cause della crisi
della democrazia rappresentativa, che sarebbe meglio chiamare altrimenti
democrazia sostitutiva, poiché sostituisce alla sovranità popolare l’unico
potere dei suoi presunti rappresentanti”.
“Non so se questo è il miglior esempio che si possa
prendere, ma è evidente che la subordinazione del potere politico al potere
economico, e soprattutto finanziario, è uno dei tratti maggiori della
situazione attuale, come anche una delle principali cause di deperimento del
politico (il politico è tutt’altro che la politica nel senso corrente del
termine). L’ideologia liberale, per la quale il legame sociale si riduce
esclusivamente al contratto giuridico e allo scambio commerciale, ha sempre
sostenuto tale subordinazione, in quanto la sovranità politica impedisce i
meccanismi di ‘regolazione spontanea’ (la ‘mano invisibile’ del mercato) di
produrre pienamente i loro effetti – contro una tradizione europea che aveva
sempre badato che la dimensione economica fosse ‘incastrata’ (embedded,
incorporata, dice Karl Polanyi) nel sociale, sotto l’autorità del politico e
che aveva sempre messo in guardia contro il potere della crematistica. Il
triste privilegio della nostra epoca è stato di spingere questa subordinazione
a un livello che non aveva mai raggiunto prima. La politica del debito adottata
dagli Stati li ha legati mani e piedi al potere dei mercati finanziari. I
diktat moralistici dell’ideologia dei diritti umani hanno fatto il resto”.
Un potere che non è più sovrano perde di per sé il suo
carattere politico. Ora, come tutti sanno, intere parti di sovranità sono
venute meno nel corso degli ultimi decenni. La nostra sovranità militare è
stata delegata alla Nato, la nostra sovranità politica è stata svenduta alle
istituzioni dell’Unione europea, la nostra sovranità di bilancio al Trattato
sulla stabilità, il coordinamento e la governance firmata a Bruxelles nel 2012,
la nostra sovranità giuridica alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò a
cui stiamo assistendo, è quindi l’espropriazione pura e semplice del potere
politico, e al suo massiccio trasferimento verso istanze e persone che non sono
state mai elette. E come queste differenti istanze sono a loro volta acquisite
all’ideologia liberale, il potere politico scompare in una sorta di buco nero”.
Per riassumere, qual è lo scopo del potere? La volontà
di potenza? Dotarsi di mezzi per ripristinare un po’ di senso in una società
sempre più frammentata? Lasciare una traccia nella storia? Far trionfare le sue
idee a scapito di altri?
“Un po’ di tutto questo, non c’è dubbio. Nel senso più
alto, il potere politico avrebbe per fine soprattutto di garantire a un popolo,
non solo un avvenire, ma un destino. Ma nell’immediato, il primo compito
sarebbe quello di provare a ridare al politico i mezzi per svincolarsi dal
sistema monetario. Essendo ben consapevoli che prendendo il potere si rischia
di più di cederlo. Il primo gennaio 1994, il molto zapatista subcomandante
Marcos disse: ‘Noi non vogliamo prendere il potere poiché sappiamo che se
prendessimo il potere, saremmo presi da lui’. Un avvertimento sul quale si
potrebbe meditare”.
(A cura di Nicolas Gauthier,
traduzione di Manlio Triggiani – da “Barbadillo.it”)