venerdì 30 gennaio 2015

Tiocfaidh ár lá

30 Gennaio 2015, quarantatre anni dalla giornata che è passata alla storia con il nome di ‘Bloody Sunday’. La giornata durante la quale quattordici manifestanti vengono uccisi dalle forze dell’ordine britanniche nella cittadina di Derry, in Irlanda del Nord. Per alcuni Bloody Sunday è un film, per altri una bella canzone, per gli irlandesi, tutti, è un giorno di dolore da non dimenticare, mai. Il 30 Gennaio del 1972 il Primo Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico aprì il fuoco contro una folla di manifestanti ferendone ventisei. Di questi ventisei, quattordici, persero la vita. La folla, quella domenica, manifestava contro l’introduzione di una legge che permetteva al governo britannico di imprigionare una persona a tempo indefinito senza processo. Le forze dell’ordine spararono senza motivo, così come attestano le carte di una commissione d’inchiesta che ha fatto chiarezza sugli avvenimenti di quella giornata solo quarant’anni dopo. La relazione finale è infatti stata consegnata solo nel 2010 e dice che le vittime non rappresentavano una minaccia ed erano disarmate e che quindi la sparatoria che poi condusse al massacro fu totalmente ingiustificata.

Probabilmente non è abbastanza per tutti gli irlandesi cattolici che hanno dovuto subire il peso che quella giornata rappresenta. Spesso si crede che si tratti solo della strage in sé, che chiaramente già di suo è una tragedia, ma ciò che davvero importa è riconoscere cosa simboleggia Bloody Sunday. È l’emblema della ribellione soffocata dei cattolici repubblicani irlandesi, l’emblema del sacrificio estremo per la lotta. Lotta per la libertà contro quella che storicamente viene definita la prima delle democrazie. Il Bloody Sunday è anche l’inizio di una escalation di violenza e di morte che francamente è difficile definirsi pienamente conclusa. Le adesioni all’Ira all’indomani del massacro aumentarono vertiginosamente così come la radicalizzazione del conflitto. La cosa che però più addolora è che si è dovuto aspettare il 2003 per sentire la confessione di uno dei parà, e ancora il 2010 per avere queste dichiarazioni da un Primo Ministro inglese: “Sono patriottico e non voglio mai credere a niente di cattivo sul nostro Paese, ma le conclusioni di questo rapporto sono prive di equivoci: ciò che è successo il giorno di Bloody Sunday è stato ingiusto e ingiustificabile. È stato sbagliato”. Queste sono state infatti le parole di David Cameron una volta consegnata la relazione finale sugli avvenimenti del 30 Gennaio 1972.
L’importante in queste occasioni è non dimenticare, come si usa non dimenticare altre tragedie. Ricordarsi di come non sono solo i cosiddetti ‘Paesi in via di sviluppo’ e ‘non democratizzati’ a compiere delle azioni atroci che vanno contro tutti i principi di libertà, ma a volte, e anzi spesso, sono proprio i Paesi che pretendono di ‘moralizzare’ il mondo i primi a commettere atti di disumana violenza. Derry da anni ricorda il massacro con dei poster, e sul ‘free Derry wall’, quest’anno, ci sarà il lavoro di Carlos Latuff, un disegnatore politico brasiliano. Oltre ai poster si organizzano delle marce, chiamate “march of justice” quest’anno il titolo sarà ‘end punity’. Anche se negli ultimi tempi il conflitto si può dire ‘normalizzato’ (questo grazie al cessate il fuoco dell’IRA nel 2005), si è molto lontani dalla conquista della libertà da parte dei cattolici irlandesi. Un irlandese direbbe: “Tiocfaidh ár lá”, frase gaelica che significa “verrà il nostro giorno”.
(Di Flaminia Camilletti - Da "L'intellettuale dissidente")