Ormai tutto viene messo sullo stesso piano: immigrazione, immigrato,
Islam, terrorismo, delinquenza, integrazione, multiculturalismo, identità. Nel
dibattito pubblico regna una confusione totale scandita dalle categorie
semantiche imposte dalla cultura ufficiale e dai suoi portavoce. Di fronte alla
globalizzazione economica che non muove solo capitali e merci ma anche persone,
Alessio Mannino, nel suo saggio Mare Monstrum.
Immigrazione: bugie e tabù (Arianna Editrice, Cesena 2015) dà uno schiaffo al luogo comunismo
smarcandosi profondamente dalla retorica istituzionale
dirittoumanista/razzista. In mezzo all’eloquenza boldriniana dell’emotività e
all’istigazione del conflitto para-leghista, due facce della stessa medaglia mainstream,
l’autore riesce così a riportare il dibattito nel suo epicentro. Ai fatti di
cronaca dell’ultimo periodo e all’opinione dell’autore sopraggiungono i dati
inconfutabili del fenomeno migratorio, essenziali per comprendere l’entità dei
flussi e le percentuali etnico-demografiche all’interno della popolazione
italiana. Vengono affrontate in questo libro le questioni decisive per
comprendere un processo globale che ci vede tutti quanti vittime e al tempo
stesso pedine. Tra queste il neo-colonialismo occidentale, l’americanizzazione
dei costumi, lo sradicamento dei migranti, le nuove sacche di consumo, la
manodopera a basso costo o “esercito industriale di riserva” come lo avrebbe
definito Karl Marx.
La differenza tra il politico di professione e lo scrittore sta tutta
qui. Il primo campa di demagogia, il secondo prova a campare di conoscenza e
verità. Con precisazione ed estrema lucidità, Mannino distingue infatti
l’immigrato in sé dall’immigrazione intesa come processo globale, così come gli
immigrati clandestini da quelli regolari. Allo stesso modo delinquenza e
immigrazione, terrorismo e immigrazione, identità nazionale e immigrazione non
vengono sommati ed amalgamati. Pertanto nei sei capitoli che compongono
questo saggio di una novantina di pagine sembrerebbe mancare una distinzione
fondamentale: quella tra l’extracomunitario proletario e l’extracomunitario
borghese. Per “extracomunitari”, l’immaginario collettivo, fa riferimento a
quel gruppo sociologicamente indigente, analfabeta e parassitario, che approda
sulla penisola italiana con barconi e pullman. A questa immigrazione di matrice
proletaria però si contrappone un flusso migratorio silenzioso, borghese,
affarista, cosmopolita che si muove da un aeroporto all’altro. Scrive il
professore statunitense Christopher Lasch (1932-1993) ne La
ribellione delle élite: “le
nuove elite che comprendono non soltanto i manager delle grandi imprese, ma
tutte quelle professioni che producono e manipolano l’informazione – la linfa
vitale del mercato globale – sono molto più cosmopolite o per lo meno inquiete
e dotate di una maggior tendenza migratoria, di quelle che le hanno precedute”.
E continua: “si sentono a casa propria soltanto quando si muovono, quando sono en
route verso una conferenza ad alto livello, l’inaugurazione di una
nuova attività esclusiva, un festival cinematografico internazionale, o una
località turistica non ancora scoperta. La loro è essenzialmente una visione
turistica del mondo”.
Così mentre il dibattito si concentra sull’immigrazione proletaria (“gli
immigrati ci rubano il lavoro” / “gli immigrati fanno lavori che gli italiani
non vogliono fare”), l’immigrazione borghese distrugge lavoro, identità e
cultura. Tre esempi possono essere sufficienti: Sergio Marchionne (cittadino
canadese, residente in Svizzera) e John Elkann (cittadino statunitense,
residente in Svizzera) dopo aver tirato avanti per decenni con i contributi
dello Stato italiano (collettività) spostano la sede fiscale a Londra delocalizzando
all’estero le fabbriche automobilistiche. Davide Serra (cittadino italiano,
residente in Inghilterra), fondatore e amministratore delegato del fondo
Algebris, è il maggiore sponsor del Jobs Act renziano.
(Di Sebastiano Caputo - Da "L'intellettuale dissidente")