Essere in grado di leggere la realtà in cui viviamo è
un privilegio di pochi. Le nozioni non bastano, servono solo ad illudere di
aver compreso tutto, occorre piuttosto cercare di indagare a fondo l’essenza
dell’uomo.
Lo scrittore inglese Tolkien, soprattutto nel suo
romanzo “Il Signore degli Anelli” offre una straordinaria metafora di quello
che è il mondo reale, al punto che la classificazione nel genere fantasy gli si
addice relativamente.
Che la corruzione sia un’arma letale di un potere da
combattere è risaputo, ma quest’opera non è una semplice avventura a lieto
fine, rappresenta piuttosto l’eterna lotta tra la vera bellezza e il
materialismo, tra il bene e il male, liberati da ogni relativismo, e la
vittoria di una Comunità contro la forza della corruzione, il tutto in un
messaggio profondamente cristiano, come cattolico era del resto lo scrittore
britannico.
Durante il racconto, troviamo episodi o analogie della
vita quotidiana che dimostrano che sono proprio i piccoli gesti a fare la
differenza in positivo e consolidare i rapporti interpersonali in una visione
comunitaria della vita. Vi sono anche comportamenti significativi che rivelano
tutta l’umanità di chi si trova di fronte ad un bivio: penso ad esempio alla humana
pietas di Bilbo quando, durante il viaggio raccontato in modo più approfondito
nel libro “Lo Hobbit”, pur rischiando di cadere in tentazione, si rifiuta di
uccidere Gollum, essere avido e vittima del potere dell’anello che in quella
circostanza si trovava in una situazione di svantaggio, o a Boromir, che, dopo
un momento in cui il male si è impossessato della sua anima, riscatta il suo
onore andando incontro alla morte.
Fondamentale, però, è la concezione della vita
espressa nel libro: possiamo lasciare che il male avanzi, oppure possiamo
dedicare la nostra esistenza a combatterlo. È proprio quest’ultima la scelta
che dobbiamo compiere per riscoprire noi stessi. “Non tocca a noi dominare
tutte le maree del mondo, il nostro compito è di fare il possibile per la
salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che
conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita
da coltivare. Ma il tempo che avranno non dipende da noi”, è forse la
frase più emblematica. Il male infatti non cesserà di esistere per sempre, la
nostra missione è piuttosto rendere fertile la terra per i nostri eredi. I
valori guerrieri, sui quali molti amano concentrarsi, sono solo un mezzo (“Non
amo la spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né
il guerriero per la sua gloria. Amo solo ciò che difendo”), forse anche un
mezzo secondario, dato che quello primario è la Comunità: non scordiamoci
infatti che i principali protagonisti dell’impresa sono dei piccoli hobbit, e i
fattori decisivi risultano essere la fedeltà, la generosità e
l’incorruttibilità, in particolar modo di Sam. Non c’è spazio per gli
individualismi, e l’esempio di Saruman è lampante: l’invidia e i sentimenti
negativi infatti finiscono per offuscare totalmente la sua anima, fino a farlo
schierare contro i protagonisti.
Tolkien ci ricorda poi che non tutto può essere
compiuto da soli e senza esperienza, dimostra piuttosto come sia importante
seguire un’autorità terrena (rappresentata da Gandalf), ma anche un condottiero
sul campo (Aragorn): messaggio significativo in una società in cui l’autorità
viene spesso identificata con il potere delegittimato ed oppressivo da
combattere. Essa si può trovare piuttosto nella figura del saggio
(dell’Anziano), oggi troppo spesso trascurata.
Venir meno al nostro compito, quindi, significa
abbandonare la strada del bene lasciando inesorabilmente spazio al male, che fa
della corruzione degli animi la sua arma più potente. Solo una piena
consapevolezza di questo potrà favorire una grande alleanza tra gli uomini e di
conseguenza salvare i popoli della Terra di Mezzo, del nostro mondo insomma.
Non possiamo più permetterci di dimenticare qual è il
nostro scopo, chi siamo e da dove veniamo: le radici profonde non
gelano.
(Di Lorenzo De Bernardi –
Da “Millennivm.org”)