(Di Pietrangelo Buttafuoco – da “Il
fatto quotidiano”)
Separate alla nascita, dunque, la
Croce di Mosul – strappata dagli assassini dell’Isis, in Iraq – e quella
di Bologna. Una attesta il martirio, l’altra il delirio. Al Cassero, il circolo
degli omosessuali di Bologna, del sacro Legno se n’è fatto un sex-toy. E’
successo alla festa del “venerdì credici” – un raduno di sbattezzo, in piena
Quaresima – ed è stato un tableau vivant inteso come una citazione di Charlie
Hebdo. A conferma dell’identità d’Occidente: la libertà di violare ogni
violabile.
La prima Croce, quindi – sul
campanile della Chiesa di San Giorgio – è stata sovrastata dalla bandiera nera
del Califfo. La seconda, invece, è stata impugnata da un poverocristo
travestito da Cristo per scavare le natiche di un tale – corone di spine in testa
– camuffato da testimone del Golgota. La prima scena, avvalorando lo
scontro di civiltà, ha guadagnato le prime pagine dei giornali. La seconda,
evocando la complicità in automatico col gender-correct imperante, in ragione
di un riflesso più che condizionato ha avuto una ribalta più modesta.
La Croce, ovviamente, non teme nessuna blasfemia. Ogni Bismillah ir-Rahman
ir-Rahim è più forte di qualunque corno del più cornuto dei Satana ma tra Mosul
e Bologna – nella digestione delle immagini cui siamo costretti – si
consuma la libertà di violare ogni violabile. Ogni reazione – in tema di
omosessuali, specie se militanti – è invalidata da soggezione.
Separate alla nascita, dunque, ma con destini opposti le due Croci. Il
nemico fondamentalista che calpesta la prima per quel gesto si guadagna il
totale disprezzo; i tapini in festa che ne fanno solo colore, invece
(oltretutto ospiti di una conventicola che beneficia di fondi pubblici), fanno
strame di quel Cristo avendo la certezza di un invincibile altolà. Un fermo là
che deriva loro dalla conclamata impunità di tenere il manico del coltello con
cui si viola ogni violabile. La famosa reciprocità, in tema di
gender-correct, non può darsi. Per ogni Croce ridotta al rango di vibratore non
può esserci – in reazione, invalidata dalla soggezione – la più flebile delle
proteste.
Certo, non sono assassini gli ospiti de Il Cassero, sono dei bravi figli. E
però hanno la sfrontatezza dei mafiosi. Hanno la prepotenza clanica di chi può
sputare in faccia a chiunque, perfino al Legno, spacciando poi la propria bava
per profumo. Intoccabili dell’unica casta superiore su cui non è consentita
critica, sono fatti forti di un imperativo categorico. Quello di un totem
contro cui non si volge il violare di ogni violabile perché la lama – la
lama di quel coltello, lo Spirito del Tempo – è cosa loro: il fondamentalismo
omosessualista.
Certo, non fanno stragi di vite umane i gender-correct. Fanno però mafia.
Nell’imperio dell’irresistibile, intimidiscono. Così che ogni cretino del villaggio
vip si piega al loro totem accogliendone faida e vendetta. Come nel caso
Barilla – il Mulino Bianco della famiglia tradizionale – minacciato di
fallimento, sull’onda del boycott-Barilla; come appena qualche giorno fa è
accaduto a Dolce & Gabbana.
I due sarti, a seguito di un’intervista di Terri Marocco su Panorama,
scopertosi tradizionali in tema di figli, pur omosessuali, sono stati subito
pestati da Elton John. Un sabba mediatico tutto di altolà dai risultati comici
se Ornella Vanoni, per testimoniare indignazione, ha dato via il proprio
cappotto D&G di cincillà regalandolo al barbone sotto casa. Inconsapevole
strumento così, la signora Vanoni, di un’astuzia propria dell’Inviolato: la
Misericordia. Come a Mosul, così a Bologna.