La distruzione della classe politica italiana ha portato con sé quella
dei partiti. Gli apparati organizzativi sono stati completamente devastati fino
a diventare mere “aziende del consenso” specializzate in marketing elettorale.
Il “nuovo che avanza” è rappresentato dalla desocializzazione della politica,
che da complesso di teorie, pratiche, riti, istituzioni di partecipazione
collettiva è stata ridotta a mera strategia comunicativa. Non certo la
comunicazione della retorica greca e latina, fondata sulla parola, bensì quella
post-moderna della pubblicità che la parola la dissolve e con essa dissolve
anche la realtà, l’oggetto della politica, cui la parola dovrebbe rimandare.
La politica è stata, nella modernità, l’organizzazione dei discorsi.
Questi discorsi avevano non solo come referente, ma anche come fine e scopo la
realtà. Rimandavano alla realtà ma nello stesso tempo la invocavano, la
mutavano e la producevano. Nell’era post-moderna dove i discorsi e le parole
non possono sopravvivere se non come entità auto-dissolventi, se non come
auto-negazione, “fuochi di parole”, come direbbe Derrida, che annullano la
realtà e il soggetto, la politica, il logos politico, è divenuto antilogos; non
invoca la realtà, non la trasforma, ma semplicemente la cancella. Il reale non
si riscopre, ma si oblia nella “nuova” parola, la quale non fa che avvitarsi su
se stessa. Questo processo corrisponde a un’analoga e parallela
destrutturazione della pratica organizzativa.
Sostanzialmente la politica del moderno è così composta:
- struttura teorica (ideologia, ovvero una gerarchia di discorsi
ordinata logicamente)
- struttura pratica (una gerarchia di persone ordinata
logicamente: meccanismi di selezione di una classe dirigente)
- struttura teleologica (una gerarchia, avvalendosi delle prime
due, dei fini, a breve, a medio e a lungo termine)
I partiti sono stati i luoghi in cui questa selezione, dei discorsi,
delle persone e degli scopi, è avvenuta. In questa triplice strutturazione
notiamo due riferimenti: lo spazio e il tempo, che sono i riferimenti della
realtà.
La teoria è stata la prima a cadere sotto la mannaia del post-moderno. I
partiti hanno cominciato a rinunciare alla loro ideologia, successivamente
questa degenerazione ha coinvolto anche la pratica, cioè quella che potremmo
definire la burocrazia interna. Di conseguenza anche gli scopi sono venuti a
cadere, e del partito non è rimasto che un meccanismo di spartizione delle
cariche e di strategia del consenso.
Se guardiamo ai partiti italiani attualmente esistenti, almeno i
maggiori, tutti quanti sono interessati da questo processo. Il Movimento Cinque
Stelle nasce come ripudio rivendicato e orgoglioso della forma-partito. Ma
venendo meno i meccanismi selettivi suddetti, è in preda a una imprevedibile
instabilità. Grandi e repentine crescite nei consensi e negli iscritti, e
altrettanto rapide cadute seguite da abbandoni e scissioni.
La politica ha cannibalizzato se stessa. La comunicazione ipertrofica,
logorroica, o per meglio dire rumorosa, perché vacua, semanticamente vuota, che
si avvale di tutte le tecnologie e le tecniche mediatiche, ha cancellato la
realtà dai propri orizzonti. Non rimanda più a un oggetto concreto, ma è un
moto perpetuo di echi polisensoriali. Senza la realtà come termine e limite
della comunicazione, senza riferimenti spaziali e temporali, gli scopi della
politica non possono che essere aboliti. A persistere sono soltanto quelli
intangibili dell’economia, del mercato, che seguono logiche proprie. Persino
luoghi e persone fisici vengono espulsi dai discorsi. Tutto si svolge sulla
rete, in televisione, sui giornali, mediante social-network e votazioni
telematiche. L’individuo viene sostituito da un account.
La realtà trova spazio, nei discorsi, solo come entità trasfigurata, in
forma caricaturale, come nemesi della virtualità politica. Per Grillo assume le
sembianze di una “casta” onnipresente e pervasiva, per Salvini quella di una
invasione di incivili e irrispettosi barbari attraverso il mare, per Renzi di
sindacati e di lavoratori “iperprotetti” e lavativi. Se si uscisse dalla bolla
mediatica sarebbe facile accorgersi che non esiste nessuna casta politica, ma
un semplice gruppo di personaggi pubblici eterodiretti e privi di qualsiasi
potere effettivo, che non esiste alcuna invasione ma qualche disperato
moribondo che cerca un lavoro in una terra straniera e che i lavoratori sono
sfruttati e ricattabili in qualsiasi modo. Ma la comunicazione mediatica coglie
qualche percezione del reale per amplificarla, deformarla e ricostruire una
nuova pseudo-realtà, una iper-realtà dai connotati grotteschi, sempre
percettibile e presente ai sensi, indipendentemente dagli spazi, dai tempi e
dai soggetti reali.
(Di Matteo Volpe – Da “L’intellettuale dissidente”)