lunedì 9 marzo 2015

Mobilità: deficit di tutele e perdita di Identità

Condizione dell’espansione del capitalismo, la mobilita’ permette di allargare la zona d’influenza del mercato. I prodotti conquistano nuovi consumatori mentre quest' ultimi credono che la loro latitudine si sia ingrandita ; le imprese si (de/ri)localizzano in funzione di prospettive di affari a costi minimi ; la mobilita’ fluidifica il transito della mano d’opera secondo le opportunità reali o immaginarie.
Questa fluidità sociale e’ inerente a l’economia di mercato e la migrazione ne e’ un ingrediente di base. La mobilita’, quindi, non e’ più la libertà di fare il pendolare, ma piuttosto l'obbligo dettato dal funzionamento del sistema che i meno lucidi considereranno come un sovrappiù di iniziativa individuale.


L’uomo sradicato, il migrante dalle radici rotte, l’uomo esule, e’ l’uomo disponibile per eccellenza, che sia all'avanguardia o alla base del sistema. La mobilita’ passa cosi' dal versante dell'opportunità da cogliere a quello di un opprimente necessità. L’impiegato globalizzato, individualista a tempo pieno perfettamente incosciente delle forze che subisce quando crede di esserne il maestro, e’ appena più libero di colui che parte dall’instinto di sopravvivenza per estrarsi, spesso eroicamente, dall'economia devastata.  Con la sua partenza costretta, il migrante subisce la violenza dell'isolamento che lo condanna a sopravvivere in un mondo inospitale, dentro quale il ritornello dell'“integrazione”, magicamente invocata da quelli che non ne sentono il bisogno a causa della loro posizione dominante, fa fatica ad applicarsi nella realta'. A forza di distruggere la coesione popolare radicata in luoghi specifici, a forza di maltrattare le disposizioni della gente all’ ospitalità isolando le psiche, l’ipermobilità rende qualunque integrazione difficile, sia per l’ospite che per l’accolto. In un mondo instabile dove scompaiono i legami, l’ospitalità, in quanto capacita’, puo’ solamente imboccare la via della propria scomparsa. Le società basate sulla mobilita' sono le meno competenti in materia d’integrazione culturale, e contrariamente agli “a priori” hanno poche capacita’ al cosmopolitismo. Quest'ultimo suppone il rispetto e la conoscenza delle culture diverse anzichè il loro smantellamento attraverso la diffusione di uno stile di vita fondato sul consumo individualista del mondo. Inoltre, gli individui plasmati dall’ ideologia opportunista della mobilita’, cosi' come i professionisti contemporanei che corrono sempre verso un posto migliore, sono meno disposti ad integrarsi. In queste condizioni, l’integrazione vera, che implica la partecipazione volontaria agli usi e costumi di una collettivita’, di un luogo, di un quartiere, diventa difficile per chi considera i legami come intralci. L'integrazione viene quindi creata solamente dal piu’ piccolo denominatore comune, cioe’ la partecipazione all’economia dei beni e dei servizi che funge da legame di bassa intensità. Per il resto, oscilla tra l’indifferenza e lo scontro, lasciando sfogo all’isolamento narcisistico o al fondamentalismo comunitario.