giovedì 19 marzo 2015

Ripensare l’identità europea


di Ippolito Emanuele Pingitore. da L'intellettuale dissidente

Tempi duri questi, e non che non ce ne fossimo accorti prima. La strage parigina dei giorni scorsi ha fatto suonare il campanello d’allarme. L’Europa si è calata le braghe e si è mostrata per quello che è. In declino, impotente, miscredente e blasfema, senza identità, o dall’identità corrotta, incapace di ritrovare se stessa, impantanata com’è tra gli stagni dell’indifferenza. Insomma ciò che è venuto fuori, come un magma esploso da un vulcano già in attività, è un’Europa sempre più debole che soffre, o ha già sofferto, una profonda erosione di identità. Da una parte coloro che la rivendicano, riesumando sogni di un lontano passato, dall’altra il coro di chi sta ancora pensando da cinquanta anni a cosa potrebbe essere una nuova Europa. Il punto è che il concetto di Europa non rievoca più niente, se non le macerie su cui si è costruito l’Occidente. Archeologia, non parliamo di politica. Nessuna unione tra popoli, nessuna identità da salvaguardare, se non fosse chiaro ancora a Salvini. La nostra l’abbiamo mandata a puttane già da un pezzo, e non è il caso di fare i piagnistei.
Modernità non fa rima con identità, e contemporaneità men che meno. Rivendicare l’identità cristiana come humus poi, oltre che falso, è anche ipocrita. Offriamo incenso ai feticci della scienza e del progresso, in nome di un illuminismo religioso e scientista, predichiamo la libertà e bombardiamo mezzo mondo, abbiamo disintegrato le nostre tradizioni secolari, ridotto a calcoli le nostre vite, schiavi di un progresso alienante e dissacrante e abbiamo ancora il coraggio di tenerci stretta la nostra identità? Sì, ma quale? Non abbiamo identità, siamo come raminghi in cerca di una casa, di un riparo. Un nido che possa proteggerci dai mostri: il relativismo e il nichilismo, esaltati come gloriosa conquista, allo stesso tempo ci spaventano come cani rognosi, con la bava alla bocca, pronti a gustare le prelibate carni di uomini stolti e volgari.
Insomma abbiamo completamente dilaniato ciò che restava di quella grande Europa e noi non abbiamo raccolto nulla di essa. La sua eredità spirituale, gloria e fasti, non li ha raccolti nessun paese europeo. Non c’erano le condizioni per farlo. Non c’è più nessuna Europa, c’è un’eredità europea. Scrive Jan Patočka in Europa e L’eredità Europea, in Saggi Eretici sulla filosofia della storia, che ‘’l’unità dell’Europa occidentale, confermata dalle imprese militari, intimamente segnata dalla dualità del potere spirituale e temporale, pur nella supremazia del primo, costituisce una delle tre versioni dell’idea del sacrum imperium: oltre a quella europeo-occidentale, quella bizantina e quella islamica. […] Ma che cos’era nella sua essenza l’idea del sacrum imperium? Nient’altro che l’eredità spirituale dell’Impero romano, tramandato per l’alienazione esistente tra l’organizzazione statale e il pubblico su cui si fondava. Roma, nella sua essenza, è l’ossessione dell’idea dell’imperium, dello Stato nel suo aspetto più proprio, indipendente dalla base etnica, dal territorio e dalla forma di governo, o per lo meno è in questa forma che trova la sua dimensione e lo sbocco al suo ostinato impegno di lotta e di organizzazione’’. Roma rappresenta – per Patočka – l’eredità della civiltà greca, della polis greca, una comunità <<fondata direttamente sulla verità>> e sulla giustizia, in ultima analisi sulla cura dell’anima. Mentre il mondo greco intendeva la cura dell’anima come un tentativo di riscoperta di sé, un sé che si fa divino e che decide sul suo essere, Roma ha inteso la cura come tentativo di estendere al mondo conosciuto il diritto oggettivo.
L’Europa nasce dunque dalla cura dell’anima, dell’essere. Ora quel che rimane dell’identità europea non è altro che una miserabile cura dell’avere, in cui non c’è spazio in alcun modo per la contemplazione, per l’essere, ma dove tutto diviene liquido, niente è più stabile, tutto è in perenne movimento, come un’onda. Che cos’è un’onda? Dov’è un’onda? Dove finisce un’onda e inizia l’altra? Le relazioni sono inefficienti, false, l’apparire detta legge mediante gli idoli della tecnologia, l’individuo è sempre più solo e sofferente, incapace di reagire, diviso tra molteplici identità, insicuro e vigliacco, che vive nel rumore quotidiano circondandosi del precario. Precarietà sentimentale, precarietà emotiva, precarietà lavorativa, precarietà in ogni ambito. Emblema di questa sofferenza tutta europea è la metropoli. La metropoli è un pantano, è un raccoglitore di uomini annebbiati da un narcotico seducente che lascia apparire bianco il nero, profumata la melma. In essa gli uomini sono ridotti a numeri, la vita scorre nell’indifferenza dell’altro, tutto è frenetico, la vita stessa diviene una frenesia, tanto è che bisogna evadere nel proprio spazio domestico o partire lontano. Non c’è più spazio per il bene dell’individuo. Anzi, questo viene confuso col benessere, ma il benessere non è che felicità materiale, utile, sì, ma non necessaria. In tutta questa confusione ciò che è messa costantemente alla prova è la fede. Beato quell’uomo che conserva la fede in un’epoca di sfascio totale! La religione rappresenta davvero un baluardo, un’ancora di salvezza contro le sfide che giungono da un mondo dissacrante e alienante che fa della sua bandiera più alta il capitalismo sfrenato e lareductio ad unum dell’individuo, cioè a atomo a-spirituale.
A dare corda a questa ideologia di sfascio tutta moderna è l’azione, (sarebbe meglio dire la non-azione) della Chiesa. Per secoli ha retto le fila di un mondo intero ed ora non ha più alcun potere. Con lo scempio compiuto dal Concilio Vaticano II in ambito liturgico, la civiltà Europea ha perso persino il suo collante più intimo, ha dissolto secoli di spiritualità allontanando sempre più l’uomo dal mistero, dal rapporto col divino. Sacer significa separato, distaccato, e ciò allude al fatto che il sacro segna il punto di confine con la quotidianità profana. Dove trovare allora il sacro se si rifugge dalla quotidianità media?
La Francia, che ha incarnato l’Europa in divenire con l’illuminismo e la rivoluzione, ha ceduto il posto nel suo ruolo di erede dell’identità europea agli Stati Uniti. D’altra parte, ridotto a polvere il sacro, profanata la riverenza, pubblicizzata e messa a nudo la libertà solo come diritto e non più come dovere, in una perfetta ‘cultura del piagnisteo’ l’eredità politico-spirituale dell’Europa è stata raccolta dalla Russia, che la conserva con gelosia ancora oggi. Ed è per questo che la Russia potrebbe rappresentare un baluardo nella difesa dei valori della vetusta tradizione europea, ostacolo al neoliberismo e all’ultracapitalismo, crocevia di culture, popoli e tradizioni. Un nuovo concetto di Europa, anzi di Eurasia, come comunità di popoli legati da un genuino e più che mai esigente senso di comune identità. Certo, restano da superare forme di nazionalismo ingenuo. Non si può pensare che l’Islam non c’entri o c’entri poco con la cultura europea. Una nuova grande comunità Eurasiatica dovrà tenere conto delle diversità culturali di ogni popolo ed etnia, ben consapevole delle comuni radici, sia dal punto di vista politico che religioso. L’islam può e deve essere una risorsa, a patto che non si pensi ad uno scontro di civiltà, e a patto che esso stesso riveda il suo nucleo interno: troppe vittime saranno mietute nei prossimi decenni, e il peggio dovrà ancora arrivare. Il modello di integrazione proposto dall’Unione Europea e dai suoi Stati è fallito; più che integrazione si è vista assoluta ghettizzazione e questo lo si può evincere, con un colpo d’occhio, dalla divisione etnica dei quartieri delle grandi città o delle metropoli.
Un nuovo illuminismo potrà allora significare pacifica convivenza in una pacifica comunità, che metta da parte lo scontro di classe persistente in quest’ottica capitalistica e scellerata, e che ponga fine ad uno scontro tra civiltà che poi affonda le sue radici nello stesso scontro di classe. Un nuovo illuminismo potrà essere realizzato solo se si comprenderà l’urgenza di rifiutare la sozzura proposta dalla religione della scienza e del progresso, dall’elevazione agli altari delle opere umane, dalla riconquista del senso e dalla contemplazione della Verità. La strada è però dura, e il primo obiettivo da colpire ha il nome di Capitalismo. Cogito…