(Di
Alessandro Giuli – da “Il foglio”)
Oggi
è il Natale di Roma e bisogna festeggiare. In una Repubblica sana questo giorno
sarebbe rimasto feriato com’era un tempo, ma l’ombra del clerico-fascismo s’è
portata via anche il coraggio di mantenere le buone abitudini dei bisnonni
risorgimentali. Peggio per tutti, compresi i fascisti che non ci sono più e gli
antifascisti che hanno bisogno del fantasma fascista per dirsi ancora
antifascisti. Andare oltre. Necesse est.
Oggi è il
Natale di Roma e io traduco qualche verso festante di Quinto Orazio Flacco.
E noi sia nei profesti chiarori
sia nei sacri,
fra i doni del giocoso Libero,
con la prole e le matrone nostre,
invocati prima ritualmente gli Dei,
secondo virtù e costume dei padri, i defunti duci,
mescolato il carme alle lidie tibie,
e Troia e Anchise e l’alma
progenie di Venere canteremo.
(Hor. IV, XV)
fra i doni del giocoso Libero,
con la prole e le matrone nostre,
invocati prima ritualmente gli Dei,
secondo virtù e costume dei padri, i defunti duci,
mescolato il carme alle lidie tibie,
e Troia e Anchise e l’alma
progenie di Venere canteremo.
(Hor. IV, XV)
Orazio aveva
combattuto come tribuno a Filippi, dalla parte di Bruto e dei suoi amici cesaricidi
contro Ottaviano non ancora Augusto. Poi, il fatto è noto, Orazio ha
beneficiato d’una amnistia e riavuto il podere che gli era stato sequestrato
dai nuovi patroni di Roma. Con gli anni sarebbe diventato, un po’ suo malgrado,
il secondo poeta dell’età augustea, dopo Virgilio. (Anche mio nonno, Giulio
Cesare Giuli, dopo l’aprile del 1945 venne prima molto epurato e poi
amnistiato, ma lui non era poeta e comunque non avrebbe saputo trovare un’età
augustea da cantare).
Di Orazio si
ricorda spesso il Carmen Saeculare, una composizione celebrativa di Roma Eterna
composta per i Ludi Saeculares ripristinati da Augusto: dal punto di vista
artistico il Carmen è di una bellezza che tocca la perfezione, ma è stato reso
poco frequentabile per via dell’adattamento di Fausto Salvatori adottato dai
mussoliniani (musicato da Puccini con il nome di Inno a Roma: “Sole che sorgi /
libero e giocondo / sul Colle nostro i tuoi cavalli doma. / Tu non vedrai
nessuna cosa al mondo / maggior di Roma”, mia zia Rossana raccontava che nel
Dopoguerra lo diffondevano con gli altoparlanti alla fine dei comizi di
Almirante ma a quel punto partivano le manganellate della polizia e lei doveva
fuggire via con le amiche).
Del Carmen di
Orazio mi piace in modo speciale l’incipit: Phoebe siluarumque potens Diana… mi
piace perché interpella la luce solare e quella della Luna, Apollo e la sorella
Diana signora delle selve, affinché esaudiscano le richieste espresse in coro
da caste vergini e fanciulli: nascite felici, buoni costumi, gloria e pace e
onore. L’essenza di Roma storica è questa, ma Roma non si esaurisce qui, e anzi
bisogna stare attenti a non trasformare le sue vestigia materiali in un
feticcio per superstiziosi. Roma è prima di tutto uno stato dell’essere
universale (nel senso letterale di: rivolto verso l’unità dei primordi) cui si
può sempre, ma non è facile, attingere, è una dimensione senza tempo ricolma di
possente, calma lucentezza; chiamatela, se volete, trascendenza, una
trascendenza immanente alla manifestazione del mondo e che si può scorgere
ovunque vi sia purezza.
Io per esempio
questa luce l’ho intravista anche a Creta, in una città dorica conquistata dai
Romani alla fine del III secolo prima dell’èra volgare e dedicata a Latona, la
madre-lupa di Apollo e Diana (chiamati per questo Letoidi). Girovagavo fra le
rovine dell’acropoli con un fratello di nome Sandro e c’erano anche alcuni turisti,
non pochi. Giunto al mezzodì, il sole ha illuminato un pugno di farro e sale
offerto sull’altare dei Letoidi, i turisti non potevano incrinare il silenzio
circostante perché s’erano intanto dileguati.
Incamminandoci
poi verso l’uscita dall’area archeologica, abbiamo incontrato una coppia di
anziani sorridenti che veniva in senso contrario, non erano marito e moglie ma
fratelli come Apollo e Diana. Arrivavano dalla Francia e si muovevano a
passettini lievi sullo sterrato in pendenza. Li abbiamo presi sottobraccio e
accompagnati lungo la salita che conduce all'acropoli. Giunti a destinazione, prima di congedarci, hanno chiesto:
- Da dove venite, e perché siete qui?
- Veniamo da Roma, siamo qui per amore dei luoghi antichi e dei loro abitanti.
- Allora siete qui per noi. Siamo noi quegli esseri così antichi.
- Da dove venite, e perché siete qui?
- Veniamo da Roma, siamo qui per amore dei luoghi antichi e dei loro abitanti.
- Allora siete qui per noi. Siamo noi quegli esseri così antichi.
I due fratelli
erano lì per cogliere l’offerta sul loro altare? Chissà. Una volta ridiscesi, e
gli anziani erano ormai lontani dal nostro sguardo, una coppia di falchi
levatasi in volo ha cominciato a disegnare cerchi festanti intorno al Sole,
ombelico radioso di quel maggio cretese. Il compleanno dell’Urbe è oggi, 21
aprile, il Natale di Roma Aeterna è tutti i giorni, e in ogni luogo liberato
dall’oscurità.
Phoebe
siluarumque potens Diana…