giovedì 7 maggio 2015

Drieu La Rochelle e il fascismo romantico e comunitario

(Di Mario Bozzi Sentieri – da “Barbadillo.it”)

Quando ai margini culturali di un movimento politico vi sono stati uomini come d’Annunzio, come Knut Hamsun, come Ezra Pound, il problema interpretativo che si pone non può interessare solo i simpatizzanti: esso è un passaggio d’obbligo per chiunque voglia veder chiaro nelle cose del suo tempo” – così Giano Accame, in un esemplare saggio dedicato al “Romanticismo fascista”, fissava  il problema del rapporto tra cultura e fascismo, nell’ambito non tanto del Regime italiano quanto della più vasta  intellettualità europea, vissuta a cavallo delle due guerre mondiali.

Drieu La Rochelle, del quale ricordiamo il settantesimo della morte, di quel mondo culturale, plasticamente riassunto nel Romanticismo fascista di Paul Sérant,  è stato personaggio di spicco e di “sintesi”, proprio per la sua capacità di ricomprenderne le tante, diverse  anime.
Autore inquieto, aristocratico e populista insieme, appassionato partecipe nell’ “incontro con l’epoca” e, nello stesso tempo, impietoso, amaro, fustigatore di costumi, Drieu  La Rochelle incarna, fino al suicidio, l’impegno fatto delle contraddizioni sue e del suo tempo, proiettandolo però al di là dei piccoli schematismi contingenti, come confermano le sue opere letterarie più significative,  Che strano viaggio, Fuoco fatuo, Gilles, modulate intorno al tema della decadenza.
Autore fascista ? Di un fascismo tutto personale, interiore, intellettuale, “romantico”, per usare l’espressione di Sérant, ed in questo solo apparentemente legato agli eventi e agli uomini.Un fascismo che è anche tentativo di ricomposizione comunitaria, “ricerca disperata di un ambiente, di un gruppo in cui poter trovare un porto, un lembo di terraferma” – come ha notato Pol Vandromme.
Sarà il PPF di Jacques Doriot, l’ inquieta stagione giornalistica, poi il “collaborazionismo”, vissuto come estrema provocazione ideologica e come aspettativa di un’Europa che avrebbe potuto essere e non fu, comunque in quel “porto” egli non trovò mai definitivamente la pace dello spirito.
Prima di togliersi la vita, il 15 marzo 1945, poche ore dopo che un ordine di cattura gaullista era stato spiccato contro di lui, Drieu La Rochelle aveva scritto:
“Sì, sono un traditore. Sì, ho collaborato con il nemico. Ho offerto la mia intelligenza al nemico. Non  è colpa mia se quel nemico non era intelligente. Sì sono un patriota qualunque, un nazionalista con i paraocchi; sono un internazionalista. Non sono solo un francese, ma un europeo. Anche voi lo siete, coscientemente o inconsciamente. Ma abbiamo giocato e io ho perduto. Esigo la morte”.

Di fronte ai bassi orizzonti della modernità o ci si siede, accettandoli, o si prende coscienza e si riparte per cercarne di nuovi, non importa se materiali o spirituali, se personali o collettivi – questo Drieu La Rochelle può ancora dire, oggi.
Per questo il suo nome fa parte del nostro Pantheon culturale e della memoria della generazione “maudit” del dopoguerra, quella nata alla metà degli Anni Cinquanta del ‘900, che in lui ha visto non solo il letterato, non solo il  protagonista disincantato di un’epoca, ma l’intellettuale  in grado di dare corpo al proprio disprezzo (“Disprezzavo profondamente lo spirito ristretto delle destre – scriveva, nel 1934 – il contrasto tra il loro calore patriottico e la loro freddezza sociale; ma apprezzavo la vaga ispirazione da esse nutrita per il contegno. Disprezzavo la sciatteria delle sinistre, la loro diffidenza nei confronti di qualsiasi forma di fierezza fisica, e tuttavia assaporavo la loro stessa amarezza”)  e nello stesso tempo alle speranze nuove e alle nuove sintesi, quali molte sue pagine sono state in grado di fare ancora balenare durante gli Anni Sessanta-Settanta del ‘900, nell’immagine dell’ Europa ritrovata, quella “compatta come un blocco d’acciaio, come una calamita”,  di Idee per una rivoluzione degli Europei , proposte (1972) dall’Editore Volpe, nella “Collana Europa”, diretta da Adriano Romualdi ed ancor prima (1964) raccolte nell’antologia politica Socialismo, Fascismo, Europa , a cura di Jean Mabire, tradotta in Italiano da Alfredo Cattabiani.
Per dirla con Jean Bernier così come “sarebbe mutilare la persona di Drieu La Rochelle ed impagliare la sua opera, non vedere in lui che lo scrittore ed in essa che la letteratura”, allo stesso modo sarebbe riduttivo dare   di Drieu una lettura tutta ideologica,  tutta legata al suo itinerario politico e all’”uso” che del suo itinerario politico è stato fatto.

La  sua fortuna letteraria, la stessa attenzione dell’editoria italiana e la consacrazione della Bibliothèque de la Pléiade, la collana più prestigiosa di Francia, che lo ha pubblicato nel 2012, confermano il suo valore “integrale”. Le questioni ancora aperte sui temi della socialità e della Nazione, dello Stato e dell’identità europea lo ripropongono  alla nostra attenzione, ben al di là di qualsiasi contingenza,   grazie alla capacità che egli continua ad avere di inquietare, facendo vibrare contemporaneamente le corde della passione e dell’intelligenza, del dubbio e della fede, del disincanto e della speranza.