(Di Mario Bozzi Sentieri – da “Barbadillo.it”)
“Quando ai margini culturali di un movimento
politico vi sono stati uomini come d’Annunzio, come Knut Hamsun, come Ezra
Pound, il problema interpretativo che si pone non può interessare solo i
simpatizzanti: esso è un passaggio d’obbligo per chiunque voglia veder chiaro
nelle cose del suo tempo” – così Giano Accame, in un esemplare saggio
dedicato al “Romanticismo fascista”, fissava il problema del rapporto tra
cultura e fascismo, nell’ambito non tanto del Regime italiano quanto della più
vasta intellettualità europea, vissuta a cavallo delle due guerre
mondiali.
Drieu La Rochelle, del quale ricordiamo il
settantesimo della morte, di quel mondo culturale, plasticamente riassunto nel Romanticismo
fascista di Paul Sérant, è stato personaggio di spicco e di
“sintesi”, proprio per la sua capacità di ricomprenderne le tante, diverse
anime.
Autore inquieto, aristocratico e populista insieme,
appassionato partecipe nell’ “incontro con l’epoca” e, nello stesso tempo,
impietoso, amaro, fustigatore di costumi, Drieu La Rochelle incarna, fino
al suicidio, l’impegno fatto delle contraddizioni sue e del suo tempo,
proiettandolo però al di là dei piccoli schematismi contingenti, come
confermano le sue opere letterarie più significative, Che strano
viaggio, Fuoco fatuo, Gilles, modulate intorno al tema della decadenza.
Autore fascista ? Di un fascismo tutto personale,
interiore, intellettuale, “romantico”, per usare l’espressione di Sérant, ed in
questo solo apparentemente legato agli eventi e agli uomini.Un fascismo che è anche
tentativo di ricomposizione comunitaria, “ricerca disperata di un ambiente, di
un gruppo in cui poter trovare un porto, un lembo di terraferma” – come ha
notato Pol Vandromme.
Sarà il PPF di Jacques Doriot, l’ inquieta stagione
giornalistica, poi il “collaborazionismo”, vissuto come estrema provocazione
ideologica e come aspettativa di un’Europa che avrebbe potuto essere e non fu,
comunque in quel “porto” egli non trovò mai definitivamente la pace dello
spirito.
Prima di togliersi la vita, il 15 marzo 1945, poche
ore dopo che un ordine di cattura gaullista era stato spiccato contro di lui,
Drieu La Rochelle aveva scritto:
“Sì, sono
un traditore. Sì, ho collaborato con il nemico. Ho offerto la mia intelligenza
al nemico. Non è colpa mia se quel nemico non era intelligente. Sì sono
un patriota qualunque, un nazionalista con i paraocchi; sono un
internazionalista. Non sono solo un francese, ma un europeo. Anche voi lo
siete, coscientemente o inconsciamente. Ma abbiamo giocato e io ho perduto. Esigo
la morte”.
Di fronte ai bassi orizzonti della modernità o ci si siede, accettandoli, o si prende coscienza e si riparte per cercarne di nuovi, non importa se materiali o spirituali, se personali o collettivi – questo Drieu La Rochelle può ancora dire, oggi.

Per dirla con Jean Bernier così come “sarebbe mutilare
la persona di Drieu La Rochelle ed impagliare la sua opera, non vedere in lui
che lo scrittore ed in essa che la letteratura”, allo stesso modo sarebbe
riduttivo dare di Drieu una lettura tutta ideologica, tutta
legata al suo itinerario politico e all’”uso” che del suo itinerario politico è
stato fatto.
