È una fissa tipicamente
liberal-pacifista quella per cui, festeggiando le proprie vittorie e il proprio
orgoglio nazionale, i propri caduti e le proprie conquiste, necessariamente si
debbano offendere gli altrui caduti e le altrui vittorie.
Le celebrazioni ufficiali
vergognosamente dimesse per i cento anni dell’entrata nella
Grande Guerra sono
sintomatiche di questa mentalità: delle nostre vittorie bisogna parlare sotto
voce, quasi vergognandosene. Sennò poi gli austriaci che penseranno di noi?
Gli stessi austriaci che nel cimitero di Sigmundsherberg si prendono cura delle salme di 2363
prigionieri di guerra italiani del primo conflitto mondiale: ai nostri caduti
vengono riservati più onori dagli eredi dei loro nemici di un tempo che dai
nipoti di coloro per cui si sacrificarono.
Allo
stesso modo, il corteo di CasaPound che ha attraversato Gorizia fra aspre
polemiche, nel timore che i militanti di Cpi dichiarassero guerra alla Slovenia
o chissà cos’altro, si apriva con le bandiere di tutti gli stati combattenti
nel conflitto, a qualsiasi fronte appartenessero.
Marinetti e Jünger sono fratelli spirituali
proprio perché hanno vissuto le tempeste d’acciaio dai lati opposti della
barricata. Allo stesso modo, gli unici dibattiti sensati, non melensi, non
ipocriti sugli anni di piombo si sono visti quando allo stesso
tavolo sedevano due reduci dei fronti opposti, due che fino a qualche decennio
fa si sparavano addosso.
Ma in tutto questo c’è una
logica: sono solo gli anti-nazionali che
hanno problemi con le nazionalità altrui.
La mentalità contemporanea
concepisce il rispetto come il riconoscimento di una “dignità”astratta,
universalmente distribuita e la cui centralità va imposta artificialmente,
modificando linguaggi, abitudini e simboli. Ma questo non è rispetto, è un
incubo orwelliano in cui si pensa che chiamando le cose col loro nome si
arrechi loro un torto.
In realtà si può dare e
ottenere rispetto solo se si è in primo luogo se stessi, se si è consci della
propria storia e se ne è orgogliosi. Celebrare le nostre vittorie ci rende più,
e non meno, degni di rispetto per gli sconfitti di un tempo, cosa che i Mattarella e i Renzi non capiranno mai.
La guerra, per quanto terribile
possa essere, è una forma di confronto. L’ipocrisia del politicamente corretto no. Ha fatto più male alla fratellanza
fra i popoli europei qualche anno di Ue che due guerre mondiali da milioni di
morti. Anche se ai summit ci sono tanti sorrisi e tante strette di mano. Sono
quei sorrisi, e non l’orgoglio delle nazioni, che benedicono i più grandi
spargimenti di sangue.