martedì 26 maggio 2015

La Grande Guerra e quella distinzione tra rispetto e viltà

(Di Adriano Scianca – da “Il primato nazionale”)
È una fissa tipicamente liberal-pacifista quella per cui, festeggiando le proprie vittorie e il proprio orgoglio nazionale, i propri caduti e le proprie conquiste, necessariamente si debbano offendere gli altrui caduti e le altrui vittorie.
Le celebrazioni ufficiali vergognosamente dimesse per i cento anni dell’entrata nella Grande Guerra sono sintomatiche di questa mentalità: delle nostre vittorie bisogna parlare sotto voce, quasi vergognandosene. Sennò poi gli austriaci che penseranno di noi?

Gli stessi austriaci che nel cimitero di Sigmundsherberg si prendono cura delle salme di 2363 prigionieri di guerra italiani del primo conflitto mondiale: ai nostri caduti vengono riservati più onori dagli eredi dei loro nemici di un tempo che dai nipoti di coloro per cui si sacrificarono.
Allo stesso modo, il corteo di CasaPound che ha attraversato Gorizia fra aspre polemiche, nel timore che i militanti di Cpi dichiarassero guerra alla Slovenia o chissà cos’altro, si apriva con le bandiere di tutti gli stati combattenti nel conflitto, a qualsiasi fronte appartenessero.
Marinetti e Jünger sono fratelli spirituali proprio perché hanno vissuto le tempeste d’acciaio dai lati opposti della barricata. Allo stesso modo, gli unici dibattiti sensati, non melensi, non ipocriti sugli anni di piombo si sono visti quando allo stesso tavolo sedevano due reduci dei fronti opposti, due che fino a qualche decennio fa si sparavano addosso.
Ma in tutto questo c’è una logica: sono solo gli anti-nazionali che hanno problemi con le nazionalità altrui.
La mentalità contemporanea concepisce il rispetto come il riconoscimento di una “dignità”astratta, universalmente distribuita e la cui centralità va imposta artificialmente, modificando linguaggi, abitudini e simboli. Ma questo non è rispetto, è un incubo orwelliano in cui si pensa che chiamando le cose col loro nome si arrechi loro un torto.
In realtà si può dare e ottenere rispetto solo se si è in primo luogo se stessi, se si è consci della propria storia e se ne è orgogliosi. Celebrare le nostre vittorie ci rende più, e non meno, degni di rispetto per gli sconfitti di un tempo, cosa che i Mattarella e i Renzi non capiranno mai.
La guerra, per quanto terribile possa essere, è una forma di confronto. L’ipocrisia del politicamente corretto no. Ha fatto più male alla fratellanza fra i popoli europei qualche anno di Ue che due guerre mondiali da milioni di morti. Anche se ai summit ci sono tanti sorrisi e tante strette di mano. Sono quei sorrisi, e non l’orgoglio delle nazioni, che benedicono i più grandi spargimenti di sangue.