mercoledì 26 agosto 2015

Dalla falce e il martello al caviale con lo champagne

(Di Sebastiano Caputo – da “L’intellettuale dissidente”)
L’universo politico ottocentesco che si rifece alla dottrina marxista nacque su basi fortemente comunitarie e anti-utilitariste. La nazione, la fabbrica, la logica del dono, ma anche la società patriarcale fondata sulla tradizionale famiglia operaia, rappresentavano in Europa quelle conformazioni sociali che legavano le persone fra loro. Si pensi ai manifesti elettorali degli anni Trenta del Partito Comunista Francese, raffiguranti due genitori con in braccio una bambina e accanto lo slogan: “per difendere la famiglia votate PCF!”. Eppure questo sistema “della comunità alla base del popolo socialista” è imploso nella seconda metà del Novecento con il progressivo tradimento di un’iperclasse post-comunista convertitasi ai principi del liberalismo e del cosmopolitismo. Dalla falce e il martello al caviale con lo champagne. È la triste parabola dei partiti comunisti europei che in meno di quarant’anni hanno trasformato la loro vocazione popolare in un aperitivo “pop” riservato a pochi eletti.

C’è un sociologo marxista chiamato Michel Clouscard (1928-2009), all’epoca vicino al Partito Comunista Francese di Georges Marchais, che ha cercato di ricostruire la trasformazione del capitalismo – che nelle società occidentali da repressivo e borghese, è diventato permissivo, ribellistico e consumista – in relazione alle forze politiche contemporanee. In Italia le sue opere non sono state tradotte tuttavia il primo saggio che prova a raccontare il suo pensiero vedrà le stampe entro la fine dell’anno e sarà curato da Lorenzo Vitelli, giovane scrittore ed editore. Clouscard nel saggio Neofascismo e ideologia del desiderio intravede nel Sessantotto il cavallo di Troia del capitalismo il quale ha conquistato nuove fette di mercato (“mercato del desiderio” e “consumismo di massa”), nella misura in cui l’ideologia libertaria (liberalizzazione dei costumi e della morale) incarnata dalla figura di Daniel Cohn Bendit, anti-gollista della prima ora, noto pedofilo, euro- parlamentare dei Verdi francesi e icona dei progressisti europei, è diventata la stampella dell’economia liberale.
Di fronte a queste trasformazioni sociali e, in una logica elettoralistica e consensuale, i partiti comunisti europei hanno di fatto abbandonato la dialettica dei diritti sociali per impugnare quella dei diritti civili delle minoranze. Negli ultimi quarant’anni, per oscurare la violenza neo-liberale, le classi socio-lavorative maggioritarie (forze produttive della comunità nazionale) quali operai, agricoltori, allevatori, artigiani, disoccupati, cassintegrati, pensionati, hanno lasciato spazio a nuove categorie minoritarie, sovra-mediatizzate e prive di significato in termini di rapporti di produzione. Per riempire questo vuoto culturale, la “nuova sinistra” è passata dalla battaglia femminista degli anni Settanta culminata con le quote rosa, alla difesa degli immigrati e dell’ambiente, vedi la nascita dei Verdi, negli anni Ottanta, fino all’esportazione dei “diritti umani” negli anni Novanta con il sostegno incondizionato alle “missioni di pace” statunitensi, dalla guerra in Afghanistan alla Libia, per poi, nel 2015, militare a favore dei diritti degli omosessuali e per l’insegnamento dei gender studies nelle scuole. Eccetto qualche sussulto di “benicomunismo” come nel 1980 quando di Georges Marchais, allora segretario del Partito Comunista Francese, affermava pubblicamente di voler bloccare “l’immigrazione clandestina e ufficiale” perché riteneva “inammissibile fare entrare nuovi lavoratori immigrati in Francia, quando Paese conta circa due milioni di disoccupati francesi e immigrati”, la galassia post-marxista europea si è convertita in maggioranza al “liberalismo- libertario”.

Per dirla con Jean Claude Michéa, altro filosofo francese che ha smascherato il tradimento del popolo da parte della sinistra, il nuovo proletariato, che va dall’operaio al piccolo imprenditore che detiene i mezzi di produzione, si è trasformato per chi diceva di esserne portavoce naturale, in una classe considerata reazionaria, provinciale, becera, omofoba, oscurantista, analfabeta, xenofoba, perché ostile a quei valori del liberalismo culturale tanto cari ai salotti del Progresso, del Cambiamento e dell’Uguaglianza.